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Diamo una chance ai profughi di rivolgersi agli Stati, non agli scafisti

In Libia la situazione è fuori controllo, impraticabile l’ipotesi di un corridoio umanitario. Ma si potrebbero aprire campi di raccolta gestiti dall’UNHCR in Tunisia, Algeria o Egitto…

Roma, 25 febbraio 2015 – Inginocchiati seminudi davanti agli scafisti, scherniti e torturati con frustate e secchi d’acqua gelata; tenuti a digiuno per giorni, a meno che non abbiano soldi per contrattare un misero pasto; donne e bambini sottoposti a violenze da parte di aguzzini armati.

Questo succede in Libia a moltissimi profughi che arrivano dall’Africa Sub-sahariana, ma anche a quelli che fuggono dalla Siria, dall’Iraq o dall’Afghanistan, cercando tregua da guerre che distruggono le loro case e decimano le loro famiglie. Eppure, molte di queste stesse persone sono disposte ad indebitare la propria famiglia in patria per pagare migliaia di euro ed imbarcarsi verso l’Europa: su  gommoni fatiscenti o sopra barconi rappezzati, a volte sotto la minaccia delle armi di chi dovrebbe garantire loro una traversata sicura. Uomini, donne e bambini che non sanno se arriveranno sulle coste europee o verranno inghiottite nelle acque turbolente del Mare Nostrum.

Queste violenze subite dai profughi non sono nuove. Questa volta, però. Sono testimoniate da un video girato clandestinamente con il cellulare  e fatto arrivare al  Daily Telegraph. Lo ha realizzato Tarek, sedicenne scappato dalla Siria e a rischio della sua propria vita. In quelle poche immagini si respira il clima di violenza e cancellazione dei diritti fondamentali a cui sono condannati ogni anno migliaia di persone in fuga dalle guerre, persecuzioni o semplicemente dalla miseria.

Conoscevamo l’odissea di milioni di africani, che attraversano il deserto e spesso non arrivano vivi sulle coste del Mediterraneo. Lì, oggi, c’è ad attenderli una nuova ordalia: quella di trafficanti armati:  perché quello dei migranti e dei profughi è un altro business da sfruttare per finanziare nuove guerre, senza riguardo o pietà per vecchi, donne o bambini.

Oggi in Libia la situazione appare fuori controllo, per questo anche l’ipotesi di un corridoio umanitario per i richiedenti asilo appare del tutto impraticabile. Ma un’opportunità di salvezza potrebbe essere data loro aprendo campi di raccolta profughi gestiti dall’UNHCR in Tunisia, Algeria o Egitto. Strutture capaci di monitorare, raccogliere ed identificare la gente in fuga dai paesi in guerra; dare loro accoglienza e verificare il loro diritto all’asilo in un paese europeo.

Corridoi umanitari, gestiti dalle Nazioni Unite,  la cui realizzazione eviterebbe molti morti in mare (22 mila dal 1988, 3500 solo nel 2014), ma che comporta – da parte dell’Europa – la volontà di avviare una efficace strategia di soccorso ed accoglienza umanitaria da gestire a livello internazionale.

 Mare Nostrum è stata una meritevole operazione gestita dalla Marina italiana, ma che si è rivelata purtroppo insufficiente a salvare tutti i profughi in mare. Ancor peggio l’operazione Triton di Frontex che non dispone né dei mezzi né della mission per soccorrere i naufraghi: dovendosi solo occupare del pattugliamento delle coste europee.La sola azione che abbia qualche chance di successo è dunque quella che dia la possibilità ai profughi di non doversi imbarcare. Questo per più motivi: per non rischiare di morire in mare; per non arricchire il traffico internazionale di persone; per non infrangere le leggi e cercare strade legali di ammissione in Europa.

Non potendo l’Europa disporre della collaborazione della Libia, l’unica scelta è la creazione di corridoi umanitari nei paesi confinanti più affidabili. Lo chiediamo al Governo italiano, lo chiediamo all’Unione Europea ed alle Nazioni Unite: diamo una chance ai profughi di non rivolgersi agli scafisti, ma agli Stati democratici.

Beppe Casucci
Coordinatore Nazionale UIL Dip. Politiche Migratorie

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