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Presidente Fini, cancelli il contratto di soggiorno

Lettera aperta al padre della Bossi-Fini. Di Aly Baba Faye

All’Onorevole Gianfranco Fini

Presidente della Camera dei Deputati


Egregio Presidente

La prima volta che L’ho vista, era negli studi televisivi di Samarcanda, una trasmissione di Santoro. Allora ero responsabile nazionale immigrazione della CGIL e avevo partecipato a quella trasmissione. Dopo un confronto  contraddittorio, uscendo Le strinsi la mano beccandomi anche critiche da alcuni esponenti del movimento antirazzista.  Lei era segretario del MSI  e aveva idee a dir poco contrarie all’immigrazione.

Il suo percorso politico fino ad oggi lo conoscono tutti.  Un percorso significativo e per quanto mi riguarda apprezzabile e che fino a prova contraria merita rispetto. In ogni caso,  vorrei in questa lettera soffermarmi  su un tema che ritengo possa più di ogni altra  dare la  misura della sua parabola politica:  l’immigrazione.

Da presidente e fondatore di Alleanza Nazionale Lei ha dato il suo nome alla legge che regolamenta l’immigrazione, la cosiddetta Bossi-Fini tuttora in vigore. Una legge che da dirigente dei DS ho avversato e criticato e su cui ho promosso anche un libro bianco nel 2003. Oggi però mi capita troppo spesso di applaudire alle sue prese di posizioni: dall’apertura sul diritto di voto all’esigenza di riformare la legge sulla cittadinanza,  dal rifiuto del razzismo alla necessità di vincere la sfida dell’integrazione.

Ora ritengo che l’aggiornamento della sua lettura della società sia lungimirante e Lei mi pare sincero nel sostenere le sue posizioni. Tuttavia, c’è una contraddizione evidente tra le posizioni che lei sostiene ora e la filosofia di fondo che  ha ispirato la legge che porta anche il suo nome. 

So che per ragioni istituzionali legate alla carica che Ella ricopre, non posso chiederLe di abrogare  o emendarne alcune parti per  dare credibilità alle sue prese di posizioni  e essere coerente con la nuova cultura politica che lei esprime, cioè  quella di una destra moderna e liberale come non è mai esistita in Italia. L’aver portato in Parlamento della Repubblica una donna immigrata musulmana naturalizzata (On. Souad Sbai)  è un gesto  in sé apprezzabile ma rischia di essere un palliativo, una scelta di facciata.

In ogni caso mi consenta di farLe una piccola richiesta: Le chiederei, nel modo che  Lei riterrà più  opportuno, di trovare una per  superare la norma  più iniqua di quella legge, ovvero  quella sul contratto di soggiorno.

È una norma di dubbia costituzionalità che fa a pugni anche con la Convenzione OIL del 1975 ratificata dall’Italia e che stabilisce  (art.11) che “la disoccupazione non è un motivo valido per privare il lavoratore immigrato del permesso di soggiorno”. Cosa che la norma sul contratto di soggiorno invece contempla creando di fatto un circolo vizioso di sospingimento nell’illegalità di molti lavoratori in situazione di disoccupazione oltre i 6 mesi prevista dalla stessa norma.

Oggi sopratutto per via della crisi economica e della conseguente chiusura di molte aziende e di nuove ondate di licenziamenti, molti padri  e madri di famiglie (che hanno i figli nati in Italia e che vanno a scuola) rischiano l’espulsione perché non riescono a trovare un lavoro regolare dopo 6 mesi di disoccupazione.

Onorevole questa norma anacronistica oggi è la più grande fonte di illegalità nel mondo dell’immigrazione.  Non si può continuare a fare una liturgia sulla legalità se non si aggredisce questo punto.

Cito solo l’esempio di una mia amica che dopo 19 anni di lavoro regolare (si era regolarizzata con la legge Martelli nel 1990) si è trovata senza più permesso di soggiorno perché disoccupata da un anno in seguito alla chiusura dell’azienda per la quale ha sempre lavorato e versato contributi.  E come per aggravare la sua situazione, il suo permesso è scaduto dopo 9 mesi della sua disoccupazione.

Ora un semplice controllo potrebbe costargli l’espulsione dall’Italia mentre i suoi figli vanno a scuola. Nel caso sciagurato che questa eventualità capiterà la signora non potrà neanche avvalersi dei contributi versati in tanti anni di lavoro prima dell’età pensionabile, forse. 

E casi come questo della mia amica purtroppo non sono casi limite ma coinvolgono decine di migliaia di persone che ora si mimetizzano nei meandri della società sommersa. Una situazione immorale sul quale Lei dovrebbe intervenire.

La legge Bossi-Fini ha creato una precarizzazione dello status sociale degli immigrati. E ciò non è compatibile con l’integrazione auspicata. La legalità non è solo un principio da predicare ma da praticare. Per questo mi permetto di chiederle di fare ogni cosa ritenga utile per rimuovere questa norma iniqua e ingiusta per chi ha lavorato onestamente in questo paese.

Certo della Sua sensibilità sul tema Le porgo distinti Saluti

Aly Baba Faye
Militante cosmopolita

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