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Sindacati, immigrati e sciopero. A colloquio con Aly Baba Faye

Sciopero generale degli immigrati in Italia, prosegue il dibattito partito dai lettori di stranieriinitalia.it. Oggi ne parliamo con Aly Baba Faye da anni una delle figure più rappresentativa del mondo dell’immigrazione.

Aly Baba Faye, Lei è stato responsabile nazionale immigrazione della CGIL e successivamente coordinatore nazionale del forum Fratelli d’Italia, che ne pensi dell’idea lanciata dai nostri lettori relativa alla necessità di uno sciopero degli immigrati?
L’idea di uno sciopero degli immigrati credo sia emblematica del clima di tensione che si respira nel paese. Un clima di forte tensione come non era mai accaduto e che le popolazioni immigrate vivono sulla propria pelle. Insomma, c’è oggettivamente una doppia sofferenza degli immigrati cioè un incalzare della conflittualità e di ostilità crescente nei confronti dell’immigrazione. E dall’altra la voglia di non continuare a subire le vessazioni quotidiane di media, politica e opinione pubblica in un contesto generale di allarmismo che gli immigrati pagano non fosse altro in termini psicologici. Credo stiamo vivendo una fase delicata che comporta molti rischi.

Quali rischi?
Rischi di una frattura sociale che sarebbe difficile ricomporre in tempi brevi. Proprio in ragione del fatto che avviene lungo la linea della diversità etnico-culturale. Quel che sta accadendo oggi, dopo l’11 di settembre e le insidie di un globalismo non governato, è un mutamento dei termini del conflitto sociale che alla tradizionale dimensione verticale che per lo status sociale e la cittadinanza sostanziale si aggiunge una nuova dimensione orizzontale che riguarda l’identità culturale e l’appartenenza. In altre parole è sotto gli occhi di tutti che il fatto che il conflitto sociale non riguarda più solo il rapporto capitale/lavoro ma include una dimensione antropologico-culturale. La stessa proposta di uno sciopero dei soli lavoratori immigrati va vista in questo senso.

Si spieghi meglio…

Una volta lo sciopero era legato allo status di lavoratori e alle condizioni di lavoro e questo prescindeva dall’appartenenza etnica del lavoratore. E qui non c’è bisogno di ripercorrere la storia del movimento operaio che per vocazione era solidale, egualitario e internazionalista. Oggi oggettivamente quella visione dell’identità del lavoro e le forme di solidarietà ad essa legate sono venute meno. In modo schematico potrei dire che la contesa non riguarda più solo l’avere e lo status ma l’essere e l’appartenenza etnico-culturale. In questa ottica, la proposta di sciopero degli immigrati è il rovescio del voto operaio alla Lega e al successo delle forze xenofobe in altre paesi. Potremo citare diversi casi da Le Pen in Francia a Heider in Austria e anche il caso Olandese, dove il mondo operaio diventa un bacino elettorale da cui le forze xenofobe traggono forza. Tutto ciò racconta della profondità della sconfitta del movimento operaio e dell’ideologia che lo sorreggeva. Questo sono le acque in cui navighiamo oggi.

Nello specifico Lei come vede l’idea di uno sciopero degli immigrati oggi in Italia? La ritieni opportuna oppure come dicono i sindacalisti è sbagliata come idea?
Beh! il sindacalismo confederale nasce sulla base dei principi di solidarietà e di uguaglianza tra lavoratori. Dunque l’idea uno sciopero dei soli lavoratori immigrati trova difficilmente cittadinanza nel mondo sindacale. Poi nella cultura sindacale, il ricorso allo strumento dello sciopero avviene come opzione ultima per sbloccare una vertenza. Non è un caso che i responsabili immigrazione dei sindacati parlano di mobilitazione nazionale e invitano alla cautela per scongiurare gli effetti di rottura che una scelta del genere produrrebbe. Mi ricordo Bruno Trentin è stato il primo ad invocare l’idea di uno sciopero di solidarietà nei confronti degli immigrati. Ma appunto Trentin pensava ad uno sciopero generale di tutti i lavoratori.

Poi non se ne fece niente…
Sì. Ma allora era importante come messaggio e il fatto scatenante era legato ad episodi di discriminazioni nelle Ferrovie a Milano e dunque all’interno del mondo del lavoro. Ciò giustificava il fatto che Trentin lanciò la sua proposta che non aveva nulla di demagogico ma riguardava il mondo del lavoro e chiamava la responsabilità del sindacato. In ogni caso quel che era importante era il messaggio in sé perché Trentin aveva capito prima di tutti che certi anticorpi stavano cadendo nel mondo del lavoro. Oggi ci siamo in pieno nella crisi di solidarietà tra diversi. Detto questo, la questione di fondo è cosa si vuol perseguire con l’idea di uno sciopero degli immigrati? Da che cosa muove questa proposta?

Secondo lei?
E’ ovvio che qui si muove da una vertenza nella società e non nel mondo del lavoro in sé. Ed è del tutto evidente che chi lancia questa proposta vuole una prova di forza per dimostrare che gli immigrati sono indispensabile all’economia di questo paese e che senza gli immigrati il paese va in crisi. E non c’è dubbio che sia una verità gli immigrati sono una risorsa indispensabile ed è giusto che questo fatto venga riconosciuto fermo restando il bisogno di chiarimento sulle modalità migliori per arrivare a questo giusto riconoscimento.

Cosa significa?
Lo già accennato prima. Nella tradizione del sindacalismo confederale, lo sciopero è l’arma ultima cui ricorrere quando non ci sono più possibilità di uno sbocco positivo ad una vertenza. Dunque anche se nel caso di cui si parla non si tratta di una vertenza sindacale ma se vogliamo di una vertenzialità sociale che non parte con una piattaforma rivendicativa legata al lavoro ma della necessità di affermare la dignità dell’immigrato in quanto persona. L’idea di uno “sciopero sociale” trova oggi fascino in molta parte del mondo dell’immigrazione ma valutata nei possibili effetti negativi che produrrebbe a cominciare dalla cristallizzazione di un modello sociale basato su logiche di enclave etniche insomma di balcanizzazione della vita civile. Mi permetto di dubitare che è ciò che ci serve oggi. Poi ci possono essere altre forme di lotta.

Una manifestazione nazionale? Alcuni pensano che sia inutile!
Beh! Anch’io debbo ammettere che le manifestazioni degli ultimi anni non hanno spostato nulla e sono state più delle kermesse esotiche che non strumenti di pressione della piazza sulla politica. Ma non sputerei sulla manifestazione in sé perché se ripercorriamo la storia dell’immigrazione straniera in Italia vediamo che 4 sanatorie su 5 sono state decise dopo grandi manifestazioni di massa. L’unica sanatoria che si potrebbe considerare una gentile concezione è quell’ultima del centrodestra. Dunque non è vero che una manifestazione in sé non serva a nulla ma dipende di come si gestisce in termini politici, dall’elaborazione della piattaforma alla strategia di interlocuzione.

Dunque Lei è per una manifestazione nazionale?
Non ho detto questo. Anzi mi pongo la domanda su quale piattaforma convocare una manifestazione nazionale? Solo sulla richiesta di sanatoria? Oppure l’idea che sottosta all’ipotesi di uno sciopero derivi da problemi legati alla convivenza civile e al riconoscimento del valore sociale dell’immigrazione? Se è questo l’obbiettivo che si vuol perseguire è chiaro non basta una manifestazione nazionale ma ci vorrebbe ben altro!

Appunto uno sciopero?
Io non escludo l’idea di uno sciopero ma mi pongo la questione di sapere se è utile agli immigrati perdere un alleato forte come il movimento sindacale. Se poi qualcuno ritiene che il sindacato confederale è inutile per gli immigrati allora forse più che uno sciopero bisognerebbe creare un sindacato degli immigrati assumendo l’onere di un neo-corporativismo. E forse è questa l’idea che alcuni hanno nella testa per allontanare gli immigrati dalle confederazioni tradizionali. Insomma una nuova offensiva per indebolire il sindacalismo confederale.

E cosa cambierebbe poiché di fatto il sindacato si è molto indebolito su questo tema?
Mi lasci dire che tutto questo interroga la capacità di rappresentanza del sindacato, un nodo che va affrontato seriamente dalle confederazioni se non si vuol vedere la nascita di un sindacato degli immigrati che vuoi o non vuoi rappresenterebbe un ulteriore indebolimento del potere contrattuale del sindacato e di tutto il mondo del lavoro. Ciò vale anche per la rappresentanza politica nel senso che se continua a prevalere la logica di cooptazione nei partiti nascerà prima o poi un partito degli immigrati o peggio dei partiti etnici.

E lei come persona che farebbe? Metterebbe la sua esperienza al servizio della causa?
Io ho una storia diversa che va nel senso di oltrepassare il dato etnico per focalizzarsi sulla persona. La mia biografia e la mia visione politica raccontano di una solidarietà tra diversi. Insomma, il filo rosso del mio impegno ventennale si riassume in due parole Umanesimo Cosmopolita. Ma come dice un proverbio africano: l’abbraccio è bello ma quando finisce ciascuno mantiene le sue braccia. Mi auguro che non siamo ancora arrivati a questo punto.

ROMA, 17 MAGGIO 2008

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