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Direttiva rimpatri: Le indicazioni del Ministero

Il Ministero dell’Interno fornisce le prime indicazioni per le espulsioni a seguito del mancato recepimento della Direttiva sui rimpatri 

 

Roma – 11 gennaio 2010 – La Direttiva 2008/115/CE riguardante le norme e le procedure comuni applicabili negli Stati membri per il rimpatrio di extracomunitari in caso di soggiorno irregolare non è stata recepita dallo Stato Italiano.

Gli effetti potrebbero essere gravissimi: è a rischio l’intero meccanismo delle espulsioni dei cittadini extracomunitari presenti clandestinamente sul territorio italiano.

Si erano illustrati gli scenari possibili  visto che le norme contenute nella direttiva prevedono un sistema di rimpatrio dello straniero irregolare molto lontano da quello attualmente in vigore in Italia.


Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza presso il Ministero dell’Interno ha pertanto emanato la circolare Prot. 400/B/2010 con la quale impartisce direttive operative alle autorità competenti per l’adozione dei provvedimenti e l’esecuzioni delle espulsioni, nel tentativo di non vanificare lo spirito della direttiva stessa.

In particolar prevede che i provvedimenti di rimpatrio (le espulsioni) dovranno essere adottati previa valutazione della situazione del cittadino straniero irregolare; dovrà essere privilegiato l’invito all’allontanamento dal territorio italiano, concedendo un termine massimo di 30 giorni, piuttosto che l’accompagnamento coattivo immediato (solo in casi residui).
Per evitare il rischio di fuga o irreperibilità sarà possibile obbligare lo straniero a presentarsi periodicamente alle autorità, a dimorare in un luogo specifico oppure a consegnare i documenti di identità.

Il trattenimento nei Centri di identificazione ed Espulsione sarà possibile solo se non potranno essere applicate misure meno “coercitive” e solo quando esista un pericolo di fuga o sia ostacolato, dallo straniero stesso, il rimpatrio.
Per regola generale non è più previsto il divieto di reingresso (la legge italiana prevede un termine non inferiore a 10 anni) salvo che per le espulsioni motivate da gravi motivi di ordine pubblico oppure per chi non abbia ottemperato ad un primo ordine di rimpatrio. In questi ultimi casi il termine di reingresso, cioè il periodo durante il quale chi è stato espulso non può far rientro in Italia, non potrà essere superiore a cinque anni (non vale per grave minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza dello Stato).

Infine, le autorità competenti dovranno verificare se sussistono le condizioni per il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario o ad altro titolo.

Nonostante tutto gli interrogativi rimangono: è impensabile adattare un sistema congegnato secondo una logica completamente differente che mira a tutelare l’ordine pubblico interno piuttosto che il rispetto dei diritti fondamentali del cittadino straniero.


Dove la regola è l’espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera o trasferimento presso un Centro di identificazione ed espulsione,  è impensabile che qualche indicazione ministeriale riesca a dare attuazione al meccanismo di  “rimpatrio progressivo ad intensità graduale crescente”.

La certezza del diritto e l’esatta individuazione delle norme da applicare rappresentano dei principi inderogabili che devono ispirare l’operato delle autorità compenti, non potendo esser rimesso a loro il compito che grava sul legislatore.

La conseguenza  è prevedibile: l’espulsione di un cittadino irregolare o clandestino dipenderà di volta in volta dalla valutazione effettuata da ciascun ufficio con la conseguenza che cittadini nelle stesse situazioni si troveranno ad esser “allontani” con regole differenti. Qualcuno più fortunato magari riuscirà ad ottenere il permesso di soggiorno provvisorio (lo prevede la direttiva e la circolare), un altro invece sarà accompagnato coattivamente alla frontiera grazie ad un provvedimento di espulsione adeguatamente motivato non contestabile in caso di contenzioso.

Avv. Mascia Salvatore

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