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Regolarizzazione: Doppia espulsione motivo ostativo?

La sesta sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza  n. 376/2011, ha rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, il ricorso contro un provvedimento di rigetto dello Sportello Unico per l’Immigrazione di Ravenna che aveva rifiutato ad un datore di lavoro la regolarizzazione del rapporto di lavoro domestico piochè il lavoratore extracomunitario, non avendo ottemperato ad un primo provvedimento di espulsione, era stato nuovamente espulso e condannato ai sensi dell’art. 14 del t.u. sull’immigrazione.

Il Tar Emilia Romagna, a cui il datore si era rivolto per far annullare il provvedimento negativo dello Sportello Unico, aveva rigettato il ricorso sostenendo che rappresenta un motivo ostativo alla regolarizzazione l’esser stato condannato per non aver rispettato un nuovo decreto di espulsione. 

Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell’ordinanza del Tar Lombardia, considerata la rilevanza della questione e le differenti interpretazioni in materia, ha sospeso il giudizio e rimesso all’Adunanza Plenaria la risoluzione del contrasto giurisprudenziale.

Staff di Stranieri in Italia

Qui di seguito pubblichiamo una nota a sentenza inviataci cordialmente dall’Avv. Andrea Maestri che ringraziamo per il prezioso contributo

Con l’ordinanza in commento la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello cautelare presentato da un datore di lavoro italiano e dal suo collaboratore domestico senegalese avverso l’ordinanza del Tar per l’Emilia-Romagna, sede di Bologna che aveva negato la sospensione del provvedimento dello Sportello Unico per l’Immigrazione di Ravenna, ritenendo ostativa all’emersione ex L. 102/2009 una condanna penale risalente al 2008 per il reato di cui all’art. 14 comma 5 ter D.Lgs. 286/98 (TU Immigrazione).
Come noto, l’art. 1 ter n. 13) della Legge 102/2009 stabilisce che “Non possono essere ammessi alla procedura di emersione prevista dal presente articolo i lavoratori extracomunitari: a) nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione ai sensi dell’articolo 13, commi 1 e 2, lettera c), del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e dell’articolo 3 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni; b) che risultino segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato; c) che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice.”
In prime cure si era osservato che se è vero che le ipotesi più gravi dell’art. 14 TU rientrano quoad poenam nei limiti edittali dell’art. 381 (arresto facoltativo) c.p.p., è altrettanto vero che per i reati di cui all’art. 14 è previsto l’arresto obbligatorio proprio dal comma 5 quinquies dello stesso 14, con la conseguenza che la fattispecie di cui all’art. 14 TU Immigrazione non rientra nel 381 c.p.p., perché diversamente sarebbe previsto l’arresto facoltativo, né si può dire che l’art. 14 rientri nel 380 co. 1 o 2, quanto ai limiti edittali.
Indubbiamente, l’art. 14 del T.U. 286/98 prevede un arresto obbligatorio "anomalo" rispetto alle ipotesi codicistiche per i reati connessi alle espulsioni e
la legge di regolarizzazione sembra non contemplare il reato in parola tra le ipotesi ostative.
Diversamente, verrebbe meno la stessa ratio di emersione/regolarizzazione della legge perché dal provvedimento sarebbero “tagliati fuori” numerosissimi casi di soggetti colpiti da decreti di espulsione amministrativa anche molto datati.
Tra le altre, una recente ordinanza del TAR Toscana n. 296/2010 Reg. Ord. Sosp., n. 496/2010 Reg. Ric., ha confermato detta interpretazione ed ha accolto la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.
In particolare, in detta ordinanza si legge che “sia pure con i limiti di sommarietà connaturati alla cognizione cautelare, il gravame può essere delibato con favore relativamente alle censure articolate con il primo motivo di ricorso, non sembrando che la condanna in ordine alla fattispecie delittuosa disciplinata dall’art. 14 comma 3-ter del D.Lgs. 286/98 sia riconducibile  al novero delle condanne ostative all’emersione dal lavoro irregolare, ai sensi dell’art. 1-ter co. 13 lett. c) del D.L. n. 78/09, convertito con modificazioni in legge n. 102/2009. La disposizione da ultimo citata fa rinvio alle condanne “per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381” del codice di procedura penale, reati in presenza dei quali si procede, com’è noto, all’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza, e che sono individuati mediante il criterio alternativo del riferimento alla pena edittale, ovvero dell’indicazione nominativa; tanto premesso, il delitto di cui al citato art. 14-ter, pacificamente non ricadente nell’art. 380 c.p.p., ma astrattamente riconducibile all’art. 381 c.p.p. quanto alla pena edittale, è stato sottratto all’ambito operativo della previsione codicistica sull’arresto facoltativo per espressa iniziativa del legislatore, il quale, per i casi di ingiustificato trattenimento nel territorio dello Stato, ha inteso prevedere l’arresto obbligatorio, all’uopo modificando il co. 5-quinquies del medesimo art. 14-ter mediante l’art. 1 del D.L. n. 241/04; – considerato che dai rilievi svolti emerge, in altri termini, la specialità della fattispecie di arresto obbligatorio in esame, che, trovando una sua autonoma copertura normativa, non pare sic et simpliciter assimilabile a quelle che tale copertura trovano negli artt. 380 e 381 c.p.p., con la conseguenza che ad essa neppure sembra potersi estendere il rinvio – di stretta interpretazione – contenuto nel sopra menzionato art. 1-ter co. 13 lett. c). Né d’altro canto a tale conclusione ostano ragioni di fondo attinenti ad una presunta comunanza di ratio fra le diverse ipotesi nelle quali l’ordinamento prevede l’arresto obbligatorio o facoltativo, stante la conclamata peculiarità dei fini perseguiti attraverso l’inasprimento delle sanzioni penali sancite dall’art. 14 co. 5-ter e co. 5 quinquies che, come autorevolmente osservato, vanno individuati nel controllo dei flussi migratori e nella disciplina dell’ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale, a prescindere dalla intrinseca pericolosità dei soggetti e delle condotte regolamentate (cfr. Corte Cost. 15 luglio 2004, n. 223).”
In termini analoghi si sono espressi il TAR Lombardia, Sezione Quarta, con l’ordinanza 771/2010 del 20 luglio 2010, il TAR Veneto con l’ ordinanza n. 265/10, il TAR Toscana con  l’ordinanza n. 301/10, il TAR Friuli con l’ordinanza n. 100/2010, il TAR Lombardia Milano, sez. IV, con l’ordinanza n. 679/2010, il TAR Marche, Sezione Prima, con l’ordinanza 472/2010 del 21.07.2010 etc.
Giunta dinanzi al Consiglio di Stato, la vexata quaestio è stata affrontata in modo opposto.
Da una parte l’orientamento espresso dalla Sezione Sesta con l’ordinanza n. 4066 del 2 settembre 2010, la quale ha affermato che “non sembra che la condanna riportata dall’odierno appellante ai sensi dell’art. 14, d.lgs. 286 del 1998 (commi 5-ter e 5-quinquies) fosse ostativa all’ammissione della procedura di emersione di cui all’art. 1-ter, d.l. 78 del 2009 (si veda, in particolare, il comma 13 dell’art. 1-ter, cit., il quale fa esclusivo riferimento alle ipotesi – che nella specie non ricorrono – di espulsioni disposte ai sensi dell’art. 13, commi 1 e 2, lettera c) del d.lgs. 286, cit.).”
Dall’altra, l’orientamento della medesima Sezione espressa con la sentenza n. 7209 del 29 settembre 2010 e con la sentenza n. 5890 del 18 agosto 2010, giusta la quale “ciò che rileva, nel richiamo operato dal legislatore con l’art. 1 ter citato all’art. 381 c.p.p., non è la circostanza afferente all’arresto (facoltativo o obbligatorio che sia) quanto il fatto che si tratti di un reato per il quale la pena edittale è stabilita in misura superiore, nel massimo, a tre anni.”
A questo punto, in doverosa applicazione dell’art. 99 comma 1 d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (“La sezione cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o d’ufficio può rimettere il ricorso all’esame dell’adunanza plenaria.”), la Sezione Sesta del Consiglio di Stato, presieduta dal Dott. Giancarlo Coraggio, consigliere estensore la Dott.ssa Roberta Vigotti, con l’ordinanza quivi in commento ha ritenuto di rimettere il ricorso all’esame dell’Adunanza Plenaria, sospendendo, nelle more, in accoglimento dell’istanza cautelare, l’ordinanza del TAR dell’Emilia Romagna impugnata con l’appello de quo.
L’ordinanza sembra sottolineare l’opinabilità e la connessa fragilità giuridica di una interpretazione delle norme fondata sulla loro ratio e addita un’impostazione esegetica più rigorosa, quella che parte dalla definizione della portata normativa degli articoli 380 e 381.
Osserva il Supremo Collegio che “Essi hanno ad oggetto la disciplina, rispettivamente, dell’arresto obbligatorio e di quello facoltativo e a tal fine individuano i reati cui si applicano i due istituti, ricorrendo ad una molteplicità di criteri, poiché se la clausola generale del primo comma di entrambi fa riferimento all’entità della pena, l’elenco di reati contenuto nei commi successivi dà invece rilievo alla tipologia dei reati stessi.
Se ne dovrebbe concludere che ciò che è essenziale negli articoli in questione è l’assoggettabilità del presunto autore degli illeciti penali all’arresto rispettivamente obbligatorio o facoltativo.
Alla stregua di tale ricostruzione esegetica, non può condividersi il rilievo dato dalla tesi “rigorosa” al fatto che la sanzione rientri nei parametri dell’articolo 381: all’ambito di applicazione di questa norma appare per definizione estraneo il reato in questione per il quale è previsto l’arresto obbligatorio e non quello facoltativo.
Quanto alla tesi “restrittiva”, essa, corretta nel far riferimento all’articolo 380, non lo sembra altrettanto, quando ritiene che la pena edittale costituisca un elemento essenziale della fattispecie, laddove si è visto che essa non lo è, sia perché altro è l’oggetto della disciplina (l’obbligatorietà o meno dell’arresto) sia perché i criteri con cui si individuano le varie ipotesi non sono univoci nel senso di dar rilievo alla sanzione.
In questa prospettiva che porta in primo piano l’obbligatorietà dell’arresto la soluzione che esclude la regolarizzazione appare avere maggiore fondatezza.”
Come si vede, la partita della asserita ostatività di una pregressa condanna ai sensi dell’art. 14 del Tu Immigrazione ai fini della regolarizzazione è aperta e l’Adunanza Plenaria è investita di un compito assai arduo.
Chi scrive è convinto che la tesi della non ostatività abbia fondamenta giuridiche più solide ed abbia il pregio di ossequiare principi sacri come quello di stretta legalità vigente in diritto penale.
Parimenti deve osservarsi che la lettera e la ratio della norma di regolarizzazione sono orientate all’inequivoca finalità di sanare/regolarizzare/far emergere le situazioni di lavoro domestico irregolare, con ciò bonificando le cospicue sacche di irregolarità amministrativa del soggiorno presenti nell’ambito del badantato e dell’assistenza familiare e recuperando la sottesa evasione contributiva e fiscale: finalità pubblica che lo Stato ha inteso perseguire e che l’autorità giurisdizionale dovrebbe tenere in qualche considerazione.

Avv. Andrea Maestri, Ravenna

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