dell’autrice di origini polacche Barbara Serdakowski
– Ma Lei non è italiana?
La frase scappa! Non è colpa loro se è sempre la stessa. Loro non si fanno la domanda su di quante volte l’avrò sentita, se forse me ne avrò già stancata, se forse non è molto delicato essere così inutilmente curiosi. Ci vedremo forse soltanto per qualche minuto. Ma è come un prurito. La domanda, la devono proprio articolare. Niente ci fa.
– No, non lo sono.
Il silenzio cala, il sorriso incuriosito scompare poco a poco e gli occhi si allontanano dalla mia faccia. Anch’io guardo altrove. Non me ne frega niente, oggi sono proprio maleducata. Era ora, ho quarant’anni. Posso permetterlo, via!
– Ma che tempaccio! Dico sorprendentemente giù di tono.
– Brutto! Proprio brutto!… Sa da noi ha nevicato, incalza la donna felice di riprendere la conversazione dopo l’imbarazzo.
– Anche da noi, in Canada, nevica e fa 20 gradi sotto zero. Lascio sfuggire. Ho ceduto, evvabene, perché non glielo dovrei dire? È contenta adesso ma sembra non capire.
Non capisce perché, se sono canadese, non glielo voluto dire subito. L’avrei dovuto sbandierare all’istante. Essere canadese ha qualcosa di mistico, uno status speciale difficilmente paragonabile ad altre nazionalità. È un po’ come dire sono astronauta! La gente si accende, sorride e lancia con entusiasmo :
– Ma che bello il Canada, ho gli zii di mia madre da qualche parte là. Ho sempre sognato di andarci!
È la risposta automatica. Sembra prefabbricata, la rispondono tutti, come se l’avessero imparata a scuola. È sorprendente davvero!
Per un attimo ci hanno creduto, sollevati di avere trovato la soluzione al quesito ma qualcosa non quadra, non convince. Lo sguardo perplesso torna vagamente intrigato. Quelli più arditi sussurrano perfidamente:
– Non la facevo Canadese… lasciando aleggiare in aria l’essenza del sospetto.
– Ma io non sono Canadese di nascita… svelo con un filo di voce, pronta a cedere timidamente il segreto. Mi sento scoperta, un po’ umiliata. Ho barato, lo sanno.
Lo sguardo muta dalla leggerezza entusiasta alla confidenza. Capiscono che il segreto ha il peso dell’imbarazzo. Adesso però, penso con un riflusso d’amour-propre non potrai nasconderti dietro il tuo cosmopolitanismo falso. Vedrò I tuoi pregiudizi nascere sconcertati sui tratti del volto e gli occhi sfuggire nuovamente imbarazzati.
– Sono nata in Polonia. Annunciò stoicamente.
– Tuo padre era diplomatico? Azzarda qualcuno per provare a riscattarmi. Sembravo forse troppo a posto per avere tale origine?
– No, mio padre è orfano di guerra e mia madre da neonata ha servito come sperimento nei ospedali psichiatrici del terzo Reich, affermo incattivita.
Sembrano spaventati, come lo speologo appeso alla parete della grotta che scopre che il chiodo sta per cedere. Erano solo curiosi, non volevano arrivare a tanto. Giocavano innocentemente col fuoco del passato degli altri dalla terrazza secolare delle loro radici. So già che avranno paura di chiedere la prossima volta: “Ma lei non è italiana”, aspettandosi la solita storia della bella Russa che sposa l’italiano benestante e riesce a recuperare, dopo qualche anno di straziante sofferenza, i biondissimi figli lasciati in patria dalla nonna. L’Italia come nido d’amore contro le insidie del post-comunismo. Un atto collettivo quello di riscattare quei figli di donne bellissime.
Ho voglia di piangere. Ho come rifugio solo il dentro di me stessa. Oggi avrei bisogno di una zia, di una nonna, di una cugina, di un paese che mi ha visto crescere e che mi perdona di essere andata via. Che ammazzerebbe per me, maiali, polli e vitelli se sbarcassi all’improvviso. Ho tante altre cose è vero: lingue, viaggi, posti visitati, gente conosciuta. Ma si sa che l’Uomo apprezza sempre di più quello che hanno gli altri. Anche noi “orfani di patria” siamo affetti da quest’infantilismo.
– Sono un’immigrante dico a testa bassa.
– Ma no, dai! Mi consola il mio interlocutore di turno.
Poeta e scrittrice, nata in Polonia nel 1964. È cittadina canadese, è cresciuta in Marocco, ma da anni vive in Italia, attualmente a Firenze.
È presente in numerose antologie ed è vincitrice di molti premi letterari.
Sulla sua produzione letteraria hanno scritto, tra gli altri: Manlio Cortellazzo «Il racconto [Visita al museo] si segnala per la leggerezza del tratto, la solida costruzione stilistica e il "realismo surreale" squisitamente mittleuropeo, memore delle lezioni di Kafka e Cechov. La sorpresa finale, che ricorda da vicino "Nella mia fine è il mio principio" di Agatha Christie, basta da sola a caratterizzare la prova come pienamente riuscita: come il giallo della Christie, inoltre, costringe il lettore a rileggere il racconto per individuare trama e ordito dell’inganno inespresso, alla ricerca delle frasi e degli indizi che avrebbero dovuto fargli capire come la realtà fosse altra da ciò che sembrava. Altre ascendenze potrebbero riscontrarsi nel teatro di Pirandello, nel cinema di Kurosawa ("Rashomon"), nel film "Oltre il giardino" con Peter Sellers: si tratta del resto di un’opera dal pregio filmico e scenico, dove soggetto e sceneggiatura concorrono alla definizione di un apologo esistenziale.»; Anna Mici «L’autrice parla parecchie lingue ma ci complimentiamo per l’italiano, fluente, spontaneo, ricco di intensità, anche difficile nell’espressione, che si presenta sempre scorrevole e puntuale.”