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Onde, diario di un immigrato

Basta un semplice incontro per iniziare a guardare la vita in un altro modo. Come racconta Francesco De Palo

8 aprile 2011 – Un uomo di 40 anni che si occupa di politica e, per caso o per convenienza, di immigrazione. Un circuito sociale, della provincia italiana, dove l’immagine ha ancora un preciso peso specifico. E sei vite che si intrecciano, ognuna con le proprie peculiarità, in un racconto semplice.

Paolo, sposato con Licia e padre di due figli, è un consigliere regionale che si trova ad un bivio: manca poco alle elezioni e, in caso di una riconferma, per lui si apriranno le porte della definitiva consacrazione politica, anche in virtù di una legge regionale che porta il suo nome con norme molto restrittive per gli immigrati clandestini. Luca è un brillante avvocato, suo amico da anni: un po’ il collante fra Paolo e il tessuto sociale cittadino. Ma, dopo l’ennesimo tradimento e dopo un’altra serata all’insegna dell’immagine, Paolo sarà scosso da un incontro/scontro con un ragazzo molto più piccolo di lui, dal colore della pelle diverso da lui. E che gli aprirà la mente verso un modo nuovo di guardare la vita.

Una storia, o molte storie, articolate in un diario settimanale, con sullo sfondo il delicato tema dell’immigrazione e l’assenza, almeno per il momento, di una strategia di lungo respiro che rifletta, senza pregiudizi e con una lungimirante accortezza, sul fattore umano. Di tutte le razze.

Tutto questo è Onde, diario di un immigrato del giornalista Francesco De Palo (Aletti editore). Eccone un brano: 

"Un martedì di settembre

Il gruppo stava svoltando sulla curva che, dall’Hotel “Dei Mari”, portava verso la fine del lungomare. Erano da poco passate le sei del mattino e un pallido preludio di sole stava iniziando a schiarire il cielo ancora buio. Dieci corridori amatoriali procedevano in religioso silenzio sul ciglio della strada, a pochi centimetri dal marciapiede, dal quale si poteva ammirare la distesa di acqua blu, color cobalto. L’aria era fresca. Dall’altro versante dell’orizzonte il colore scuro del cielo si faceva ancora più terso. Grosse nubi sarebbero state una sgradevole presenza nella giornata che di lì a poco avrebbe visto la luce. Procedevano con una metodica ritmica, quasi maniacale. Un due, un due, un due. Solo quattro di loro sudavano copiosamente, gli altri più tonici guidavano il mini gruppo in file da tre. Erano più allenati, rinvigoriti da una pratica che da anni, non smettevano mai di seguire. Ogni due mattine si ritrovavano alle cinque meno dieci dinanzi all’ingresso del porticciolo turistico, per affrontare nel modo migliore la settimana lavorativa. Perché la corsa, lenta ma stabile, scaccia i pensieri, purifica le menti, idrata i cervelli appannati o stressati dai voli pindarici, o al contrario, dalla piattezza dei neuroni. L’orologio da polso segnava le sette del mattino e Paolo non riusciva ad aprire gli occhi. Avrebbe dovuto svegliarsi, ed anche in fretta. Era atteso da una lunga e noiosa riunione politica, per decidere le nomine da effettuare al Comune. Strano come trovasse tedioso il parlare ed il confrontarsi. Dieci anni prima, quando si era affacciato in politica per muovervi i primi passi, si nutriva avida mente di dibattiti e interlocuzioni. Progetti, iniziative, voglia di migliorare le cose nella sua città e sul suo territorio. Per un senso di rivalsa, per quella sensazione di onnipotenza e, di conseguenza, di riuscire dove avrebbe voluto. Sempre. Ma la politica spicciola, quella del quotidiano, della routine, del do ut des, aveva preso il sopravvento nei suoi pensieri. Oggi che il suo status gli consentiva un tenore di vita ben diverso da quello diquando era un giovane studente iscritto alla facoltà di Giurisprudenza,rappresentava uno dei tanti passi di avvicinamento all’obiettivo unico: le imminenti elezioni. Di lì a sei mesi la sua vita avrebbe, se possibile, compiuto un ulteriore balzo in avanti verso lidi nazionali. Scostò dal suo letto la giovane bionda che gli aveva fatto compagnia dalla sera precedente. Senza degnarla nemmeno di uno sguardo, si recò in bagno. Una doccia calda ed una curata rasatura avrebbero reso indolore l’ennesima scappatella extraconiugale. Sua moglie lo credeva in missione a Roma, chiamato urgentemente dal partito per definire i dettagli pre elettorali. Ma invece di trovarsi nel centro della capitale, indaffarato in una estenuante trattativa per chiudere le liste, Paolo aveva fatto ricorso allo stratagemma di sempre nei momenti di particolare tensione: un po’ di sana e salutare bella vita, così come amava definirla. A quasi quarant’anni si era ritagliato uno spazio importante nel suo partito. Complici i numerosi episodi di violenza all’interno del centro di permanenza per gli immigrati nella sua città, era stato relatore di una legge regionale molto severa, che prevedeva il divieto a qualsiasi contatto con l’esterno dei centri, pena la detenzione, al fine di impedire l’invasione di bengalesi, iraniani, pakistani e rumeni in città. Inoltre gli stessi sarebbero potuti rimanere all’interno dei centri per i giorni necessari all’identificazione. Non un minuto di più. Il provvedimento, che era all’esame del consiglio regionale, avrebbe visto presto la luce e lo avrebbe catapultato ai vertici di gradimento del suo elettorato. Non si considerava un razzista, né in passato aveva mai nutrito pregiudizi di sorta. Solo che non voleva estranei nella sua terra, perché davano fastidio, così come aveva urlato dal palco di un comizio due sere precedenti, tra gli applausi della platea, composta da piccoli imprenditori e agricoltori locali. Dalla toilette dell’Hotel “Dei Mari” Paolo venne fuori assieme ad un’ondata di calore. Adorava iniziare la giornata con una doccia bollente e con tanta acqua di colonia, usata in quantità talmente copiosa da lasciare un’intensa scia al suo passaggio. La donna che lo aveva intrattenuto era già andata via, secondo sue precise disposizioni. Non amava trovarsi di fronte quel genere di persone, soprattutto se moldave, figlie di un regime passato e del passato, come il suo riferimento politico locale gli ripeteva. Indossò il consueto spezzato acquistato in una boutique di via del Babbuino, assieme alla cravatta che la sua Licia gli aveva donato per Natale. Le scarpe di vera pelle italiana a fare da cornice ad uno stile impeccabile. La sua Bmw era sporca a causa della pioggia degli ultimi giorni. Un fastidioso temporale settembrino aveva guastato i piani di molti, desiderosi di gustarsi gli ultimi fine settimana di caldo al mare. Aprì lo sportello evitando di toccare la portiera e si accomodò nella sua lussuosa auto. In un paio d’ore avrebbe fatto rientro in città. Nonostante il divieto per le auto dei cittadini di fare ingresso nella zona pedonale dove sorgeva il Municipio, Paolo in virtù del suo status di uomo politico non avrebbe impiegato molto tempo per attraversare la zona a traffico limitato e parcheggiare nei pressi del Comune. Accese la radio, per la consueta rassegna stampa del mattino. “Nuova minaccia nucleare in Corea, i satelliti rivelano intense manovre militari”. “Il primo ministro inglese promette l’invio di altre truppe in Afghanistan, dopo l’attentato di ieri in cui hanno perso la vita sette militari della Nato”. “Si continua a morire di fame in Africa, dove è stato accertato il decesso di un bambino ogni tre secondi”. Disgustato, Paolo cambiò stazione, non aveva voglia di rovinarsi la giornata con tali problematiche. Nonostante ricoprisse un ruolo pubblico e negli ultimi cinque anni avesse regolarmente effettuato grosse donazioni ad enti di beneficienza, a fini elettorali, non riteneva di doversi preoccupare di tutto. Insomma, nel pieno della giovinezza politica non era proprio il caso di caricarsi sulle spalle il fardello della società. Sarebbe stata in grado di andare avanti da sola. Ed era quello che Paolo auspicava accadesse. Né si era mai veramente interessato dell’educazione culturale dei suoi figli, preferendo invece concentrare le sere libere in uscite pubbliche con questo o quell’esponente, lasciando Maria e Felice dinanzi ad una scatola che gli americani chiamavano tivvu’, e che Paolo non finiva mai di ringraziare per la sua esistenza, soprattutto per certi format che tenevano buoni i due mastini di cinque e nove anni. Dopo un’ora abbondante entrò in città, addirittura in anticipo rispetto alle sue previsioni, lodando la potenza della sua auto fiammante. Gli era costata una sciocchezza, per via del rapporto di amicizia che aveva con il proprietario di una catena di autosaloni. Un bolide da settantamila euro che gli era praticamente stato regalato per un terzo del valore. Il cielo era uggioso, e contribuiva ad aumentare il tasso di umidità, così accese il condizionatore e inserì un cd dei Led Zeppelin. Ma era difettoso, si sentiva a sprazzi, così cercò di mandare avanti le canzoni premendo i tasti sul volante. Cinque secondi dopo, allorquando rialzò gli occhi verso il parabrezza, Paolo vide un’ombra che, in seguito, avrebbe rivoluzionato completamente la sua vita".

FRANCESCO DE PALO. Classe ’76, nato a Bari dove si è laureato in Giurisprudenza, dal 2000 ha collaborato con varie testate giornalistiche e televisive locali. Attualmente vive a Roma, dove ha scritto di politica, di Mediterraneo e di libri prima su Ffwebmagazine e sul Secolo d’Italia. E ora su Il futurista e sulla rivista greca Laikì Fonì. Parla il greco moderno. Il suo blog: frontedelpensiero.blogspot.com

 

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