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Baby blues. Particolarmente a rischio le neomamme immigrate

Senza una rete di supporto, alle prese con difficoltà economiche, sociali e culturali, le donne straniere sono spesso vittime della depressione in gravidanza e dopo il parto. L’allarme degli esperti

Roma – 5 dicembre 2012 – La chiamano “Baby blues” , è la depressione in gravidanza e dopo il parto. Un male che colpisce tra le 55 mila e le 80 mila donne ogni anno e che vede tra le sue vittime più fragili e vulnerabili proprio le neomamme immigrate, alle prese con difficoltà economiche, sociali e culturali.

Lo dice una ricerca dell’ Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda), che ha lanciato la campagna ‘A Smile for Moms’, per dare slancio alla ricerca in materia di salute mentale, offrire alle donne aiuto, servizi, centri di ascolto, e ai medici strumenti per riconoscere il disturbo e trattarlo al meglio.

Ieri a Milano in una conferenza aperta alla popolazione, i maggiori esperti in materia hanno sensibilizzato sull’importanza di diagnosi precoce e cure mirate. E Mariano Bassi, direttore della Struttura di psichiatria 2 all’ospedale Niguarda di Milano, ha invitato  a un’attenzione particolare proprio verso le mamme straniere.

“La mancanza di una rete relazionale di supporto e’ uno dei fattori di rischio più significativi per queste donne” ha sottolineato l’esperto. “In una società come la nostra, in cui negli ultimi 30 anni la presenza di persone immigrate e’ passata da 320 mila (1981) a 5,4 milioni (2011) e il tasso di natalità e’ ormai sostenuto soprattutto dalle donne straniere, il tema degli aspetti transculturali correlati alla tutela della salute non puo’ non essere sentito, anche per quanto riguarda la depressione in gravidanza e nel periodo post partum”.

“Le donne immigrate, soprattutto quelle di recente immigrazione – ha spiegato lo psichiatra – sono più esposte alla depressione perché presentano maggiori fattori di rischio. Tra questi lo stress derivante dal processo di acculturazione, le difficoltà linguistiche e culturali che limitano l’accessibilità ai servizi sanitari e sociali, la mancanza di un supporto familiare. Nelle culture nord africana e sud americana, in particolare, la famiglia allargata, soprattutto nella sua componente femminile, rappresenta un punto di riferimento fondamentale. A pesare e’ anche la condizione di precarietà economica e abitativa”.

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