Un racconto dello scrittore di origini brasiliane Julio Monteiro Martins
Centro di Accoglienza Temporanea e Assistita Primo Levi. Torino, 2001.
Non è vero che lì dentro il concetto più ripetuto da tutta quella gente, in tutte quelle lingue, è il No, per echeggiare un altro più grande No, quello dei tre poteri dello Stato: il cemento, il ferro, il filo spinato.
No, non è vero. Il concetto più manifesto invece è quello di Vogliamo, senz’altro più vertebrato dell’altro. Infatti, dentro quel brusio di voci balbuzienti, risiede un’esigenza, non proprio una richiesta: Siamo tutti entrati nella vita sporcandoci di sangue e di feci. Dobbiamo allora ripulirci insieme, nella stessa acqua. La diga deve crollare perché i fiumi possano scorrere.
Vogliamo il nostro battesimo dentro il fiume. Siamo credenti appena convertiti. Non potrete rifiutarci il battesimo.
Attraverso i buchi quadrati o rettangolari che si aprono dinanzi ad un cortile di sole e di freddo, uomini pallidi vestiti di nero portano dei piccoli mitra, anch’essi neri, appesi a tracolla sulle spalle come un cestino di frutti o di fiori.
Dentro la stanza superaffollata, macchiata di rosa, marrone e grigio – carne umana contro il cemento – due uomini, ancora sporchi di sangue e di feci, cercano di capirsi tra loro:
– Il palazzo dove abitavo prima era tutto scalcinato.
– E allora?
– Lo hanno restaurato. È più bello ora. Non sapevo che era così bello.
– Chi lo ha restaurato? Voi?
– No, noi no… – e sorride. – Il proprietario, credo.
– Siete state arrestati lì?
– No. Lì non potevamo più entrare. Ma ho fatto una foto. È nel mio zaino. È bella. C’è un angelo all’entrata, sai, sopra il portone.
– Un angelo… E loro sanno cos’è un angelo là dalle tue parti?
– Lo sanno sì… Ma non hanno mai visto uno.
– E tu invece l’hai visto?
– Sì, io l’ho visto.
– E glielo vuoi mostrare, questo tuo angelo?
– Sì.
– E dimmi un po’, perché non fai una bella foto di quegli angioletti lì, con gli stivali e i mitra? Guarda, quello lì è San Michele, e quell’altro San Gabriele…
– Smettila. Sai, era bello il palazzo restaurato, sembrava appena finito. Se tu lo avessi visto… Solo che non ci vive più nessuno. È vuoto.
– E non hai pensato di occupare almeno un appartamento?
– Io ci ho provato ad entrare. Ma hanno cambiato la serratura durante il restauro…
– Ehi, hai notato che non c’è più niente di legno qui.
– Cosa? Scusami…
– Legno. Non c’è più nulla di legno.
– Ah.
– Sai perché?
– Perché?
– Perché hanno paura che succeda come a Caserta l’anno scorso. Hanno bruciato la mobilia durante la notte. Sei morti. Ma altri cinque sono scappati, però.
– E poi, dove sono andati?
– Nessuno lo sa. Sono scomparsi dentro il grande stivale. Magari ora sono in Francia.
– In Francia…
– Sai cosa sto pensando?
– Cosa?
– Se raccogliessimo i vestiti di tutti qui e facessimo un grosso mucchio con altre cose, scarpe, resti di cibo, plastica, faremmo un incendio con tanto fumo nero e una puzza infernale. Così qualcosa succederebbe. E potremmo approfittare della confusione per scappare anche noi. Inoltre, la colonna di fumo porterebbe qui i pompieri, e con loro i giornalisti. Abbiamo bisogno dei giornalisti… E insieme a loro verrebbero anche i politici. Abbiamo bisogno anche dei politici, o no? Tu, cosa ne pensi?
– Hm… Non potrebbe funzionare.
– Perché?
– Una grossa colonna di fumo… Non funzionerebbe. Tutti la vedrebbero nei telegiornali. E alla gente qui non piace chi sporca la loro aria.. L’inquinamento, sai?…
– Ma che discorsi fai? Ma sei scemo o cosa?
– Eppure è così.
– Ma noi, vogliamo o no la libertà?
– Non così.
– Ma vai a cacare… Tu e il tuo angelo… Cretino…
Otto giorni dopo l’aereo decolla, fa un lungo giro sulla città ancora addormentata e punta finalmente verso Sud. Dentro l’aereo un uomo, ancora macchiato del sangue e delle feci, porta nella tasca dei jeans la foto di un angelo di gesso scolpito sul frontone di un palazzo torinese. Dal finestrino l’uomo guarda una nuvola molto lunga e molto bianca, che scappa verso l’orizzonte. È una piuma dell’ala di un gigantesco angelo custode – pensa, e sorride. L’ultima piuma, alla punta dell’ala sinistra. E poi, il nulla: polvere gialla, siccità.
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Julio Monteiro Martins nasce nel 1955 a Niteroi, nello stato di Rio de Janeiro (Brasile). Si dedica alla scrittura fin da ragazzo e già nel 1976 pubblica i primi racconti. Nel 1979 partecipa allo International Writing Program della University of Iowa (USA), ricevendo il titolo di Honorary Fellow in Writing, e per un anno insegna scrittura creativa al Goddard College (Vermont, USA). Continua poi l’insegnamento presso la Oficina Literária Afrânio Coutinho (Rio de Janeiro), dal 1982 al 1989, e in seguito in Portogallo, presso l’Instituto Camões di Lisbona (1994) e presso la Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro (1995). Dal 1996 insegna all’università di Pisa, dove attualmente tiene il corso di Lingua Portoghese e Traduzione Letteraria. Dirige inoltre il Laboratorio di Narrativa del Master di Scrittura Creativa, presso la Scuola Sagarana di Pistoia. È fondatore e direttore della rivista letteraria Sagarana (www.sagarana.net). All’attività di scrittore e docente affianca un impegno attivo in campo politico e sociale. La produzione letteraria di Julio Monteiro Martins comprende numerose opere sia in portoghese brasiliano sia in italiano, essendo quest’ultima la lingua attualmente preferita dall’autore. Pur prediligendo la forma narrativa, Monteiro Martins ha pubblicato anche poesie e pièce teatrali. Da alcune sue opere sono state tratte sceneggiature di cortometraggi. Tra gli scritti in italiano: Il percorso dell’idea (poesie, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera, 1998), Racconti italiani (Besa Editrice, Lecce, 2000), La passione del vuoto (Besa, Lecce, 2003 ), Madrelingua (romanzo, Besa, Lecce, 2005) e L’amore scritto (racconti, Besa, Lecce, 2007);