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TAR Lazio Sentenza del 5 novembre 2008 legittimo diniego status rifugiato

TAR Lazio Sentenza del 5 novembre 2008 legittimo diniego status rifugiato          
TAR Lazio Sentenza n. 9723 del 5 novembre 2008 legittimo diniego status rifugiato
Nel caso di specie il ricorrente, cittadino ghanese dimorante in Italia e vittima nel Paese di provenienza di guerre nella tribù di appartenenza in relazione alle quali aveva, ricevuto diverse minacce di morte, ha avanzato richiesta di asilo politico nel Territorio Nazionale.
La competente Commissione si è determinata negativamente in ordine alla sua richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato a cui era seguita l’intimazione del Questore di Roma, che lo invitava a lasciare volontariamente il territorio nazionale entro il termine di 15 in seguito al rifiuto del rilascio di un permesso di soggiorno.
Il ricorrente lamenta il fatto che il documento ricevuto era senza alcuna attestazione della sua conformità all’originale e lamenta la violazione dell’art.7 della legge n.241 del 1990 per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
Quanto alla prima censura, l’Amministrazione dimostra che al ricorrente è stato notificato l’originale del decreto e che dello stesso gli è stata fatta consegna di copia che egli ha accettato e sottoscritto per ricevuta. La copia consegnata all’interessato è stata anche sottoscritta dall’ufficiale di p.g. che ha formalizzato la consegna.
Per quanto riguarda la seconda censura occorre ricordare che l’art.7 della legge n.241 impone all’autorità amministrativa competente di comunicare all’interessato l’avvio, d’ufficio, di un procedimento che può concludersi con un atto destinato a produrre effetti nella sua sfera giuridica. Segue che il provvedimento adottato a seguito dell’instaurazione (come nel caso di specie) di un procedimento ad iniziativa di parte non abbisogna della comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7, l. n. 241 del 1990.
Per tutto ciò il ricorso è respinto.

REPUBBLICA ITALIANA N. Reg. Ric.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. Reg. Sent.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sez. I^ ter ANNO

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

 sul ricorso n.6420/2005–R.G. proposto dal sig. Asante Pax, cittadino ghanese, rappresentato e difeso dall’ avv. A. Ferrara e con lo stesso, in Roma, via Nomentana 91, presso lo studio legale Beatrice, elettivamente domiciliato;
contro
– il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., ed il Questore di Roma rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato;

– la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato politico;
per l’annullamento
– dell’ordine del Questore di Roma, emesso ai sensi dell’art.12 c.2 del d.P.R. n.394 del 1999 e notificato il 29.4.2005, col quale si intima al ricorrente lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni;
– di ogni provvedimento presupposto e/o consequenziale ed in particolare della decisione della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato del 29.3.2005;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del  Ministero dell’Interno e del Questore di Roma;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 9.10.2008 la relazione del Consigliere Pietro Morabito ed uditi gli avvocati di cui al verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO
Il ricorrente, cittadino ghanese dimorante in Italia e vittima nel Paese di provenienza di guerre intestine alla tribù di appartenenza in relazione alle quali aveva, a suo dire, ricevuto diverse minacce di morte, ha impugnato, con l’atto introduttivo dell’odierno giudizio, sia la decisione con cui la (ratione temporis) competente Commissione si è determinata negativamente in ordine alla sua richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato che l’intimazione con cui il Questore di Roma, respinta – a causa della citata decisione – l’istanza dell’1.10.2003 di rilascio del permesso di soggiorno, lo ha invitato a lasciare volontariamente il territorio nazionale entro il termine di 15 giorni decorrente dal 29.4.2005 (data di notifica del provvedimento de quo).
Assume sostanzialmente il ricorrente che, a mente dell’art.19 del T.U. n.286 del 1998 e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (di seguito: Cedu), il provvedimento questorile avversato è carente sotto l’aspetto motivazionale non avendo tale Autorità vagliato se sussistessero, o meno, nel caso di specie condizioni ostative all’espulsione connesse alla reimmissione dello straniero in un contesto di elevato rischio personale.
Altri vizi addebitati all’ordine gravato sono delineati nei seguenti motivi di diritto:
a) violazione degli artt.18 del d.P.R. n.445 del 2000 e 13 del T.U. n.286/1998;
b) violazione dell’art.7 della legge n.241 del 1990.
L’intimata amministrazione si è costituita in giudizio per il tramite del Pubblico Patrocinio che, però, si è limitato al deposito di mero atto di stile senza curare l’allegazione di memorie o nota difensiva alcuna.
La fase cautelare del processo si è svolta attraverso due gradi di giudizio. Nello specifico l’ordinanza di questa Sezione del 27.7.2005, oltre a puntualizzare che la cognizione sull’impugnativa della decisione della Commissione centrale apparteneva pacificamente all’A.g.o., negava l’invocata sospensione interinale degli effetti del provvedimento avversato sul presupposto che quest’ultimo, alla luce della predetta negativa decisione, costituisse un vero e proprio atto dovuto; tesi questa confermata dal Giudice di appello (ord. VI^ sez. n.314 del 24.1.2006) che pur faceva salva “la proposizione di una distinta ed autonoma istanza di permesso di soggiorno per motivi umanitari”.
Di seguito l’Asante, temendo un possibile conflitto negativo di giurisdizione, con atto notificato il 7.12.2006 proponeva istanza di regolamento preventivo di giurisdizione ivi prospettando la pertinenza della causa alla cognizione del G.a.: tesi questa condivisa dalla Suprema Corte che, con ordinanza n.8270 del 2008:
– qualificava il provvedimento di allontanamento emesso dal Questore nel caso di negazione dello status di rifugiato, quale atto (non meramente consequenziale, ma) che postula il preventivo accertamento, sulla base dell’unica domanda di protezione, dell’insussistenza delle condizioni ostative alla negazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari;
– quindi riconosceva in capo alla G.a. la titolarità della giurisdizione in relazione sia al provvedimento del Questore di rifiuto del permesso di soggiorno che in ordine al provvedimento di allontanamento emesso ai sensi dell’art.12 c.2 del D.P.R. n.39 del 1999, integrando quest’ultimo provvedimento, in casi come quello in esame, il primo e non confondendosi col provvedimento di espulsione “il quale potrebbe, in ipotesi, non venire mai adottato”.
Ricondotto il processo innanzi a questo Giudice, l’Asante riproponeva nuova istanza cautelare che veniva accolta dalla Sezione con propria ordinanza del 10.7.2008 con la quale:
– si fissava il merito della causa per l’odierna pubblica udienza;
– si prescriveva al Questore di Roma il riesame dell’atto impugnato alla luce dei postulati fissati dalla Suprema Corte sospendendone, interinalmente, i relativi effetti.
All’udienza del 9.10.2008, la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.
DIRITTO
I)- La controversia introdotta col ricorso in epigrafe è stata, come anticipato, mediata dal coinvolgimento della Suprema Corte che, nel riconoscerne l’appartenenza alla giurisdizione di questo Tribunale, ha previamente individuato, nel corso del proprio iter argomentativo, i postulati già ricordati in narrativa; e cioè che:
– non va confuso il provvedimento oggetto di impugnativa (che intima allo straniero – cui sia stato disconosciuto lo status di rifugiato e successivamente, ed a tale causa, negato il permesso di soggiorno – di abbandonare il territorio nazionale) col provvedimento di espulsione di cui all’art.13 del T.U. n.286 del 1998 “il quale potrebbe, in ipotesi, non venire mai adottato”;
– l’unica domanda di protezione presentata dallo straniero è sufficiente sia ad attivare il procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato che a spendere effetti in ordine alla doverosità della valutazione, da parte del Questore di Roma (una volta negato il predetto status), sulla sussistenza, o meno, di motivi di carattere umanitario che, a mente dell’art. 5 c.6, del citato T.U., potrebbero consentire il rilascio dell’autorizzazione a soggiornare a tale titolo.
I.1)- Quella appena ribadita è una puntualizzazione doverosa in quanto l’attenta analisi degli scritti difensivi dell’Asante consente di apprezzare una sorta di metamorfosi dell’originario atto introduttivo del giudizio: atto che, dopo la pronuncia della Corte regolatrice, è venuto ad arricchirsi di contenuti (tratti all’evidenza da tale decisione) originariamente non presenti, nuovi, non costituenti il semplice sviluppo argomentativo di quelli già formalmente rassegnati e tali da porsi in rapporto di confliggenza con le regole di forma e di tempo che dominano il processo amministrativo.
E così nell’istanza con cui è stata rinnovata la richiesta di misure cautelari depositata il 13.6.08 il ricorrente, testualmente, dice che egli “sostanzialmente lamenta …..che il Questore di Roma senza istruttoria alcuna e senza verificare la ricorrenza di esigenze di carattere umanitario che, ai sensi del combinato disposto degli artt.5 comma 6 e 19 del T.U. n.286/1998, impediscono l’adozione di provvedimenti di espulsione e/o allontanamento dal territorio nazionale, preso atto del diniego della Commissione centrale, avendogli impartito l’ordine di lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni dalla comunicazione, abbia violato non solo la normativa interna ma anche e soprattutto gli obblighi di carattere internazionale……..” (cfr. istanza cautelare pagg. 5 e 6 ). Nella memoria depositata il 29.9.2008 si va ben oltre ivi deducendo, per la prima volta,  che il Questore (così pag. 3) “nel rifiutare il permesso di soggiorno non ha valutato le esigenze di carattere umanitario ex officio ai sensi dell’art.11 lett. “c ter” del d.P.R. n.334 del 2004”; norma questa, entrata in vigore il 25.2.2005, che consente al Questore il rilascio del permesso di soggiorno << …c-ter) per motivi umanitari, nei casi di cui agli articoli 5, comma 6 e 19, comma 1, del testo unico, previo parere delle Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero acquisizione dall’interessato di documentazione riguardante i motivi della richiesta relativi ad oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale>>.
Orbene si tratta di tesi difensive che non trovano coincidenza con alcuno dei motivi di diritto propugnati nel ricorso introduttivo e che, quindi, si rivelano inammissibili, l’una (quella collocata nell’istanza cautelare) perché tardiva (id est: non svolta nel rispetto del termine decadenziale di legge) e l’altra in quanto irritualmente prospettata con memoria e non con atto debitamente notificato ( nel termine di rito) a controparte. All’uopo basta considerare che nel ricorso introduttivo non trovano mai menzione né l’art.5 c.6 del T.U. né l’art.11.c.1 lett. c ter del d.P.R. n.334 del 2004, ivi assumendosi la sola violazione dell’art.19 del predetto T.U., della Convenzione di Ginevra (il cui art.33, contenente il divieto del refoulement, si precisa, “è ribadito dall’art.19 del d.lgs. n.286/1998”) e dell’art.10 della Costituzione.
Non solo. L’impressione che in più punti si coglie è che il ricorrente confonda il provvedimento adottato dal Questore ai sensi dell’art.12 commi 1 e 2 del d.P.R. n.394 del 1999 col provvedimento di espulsione di cui all’art.13 del T.U. che interessa fase e valutazione amministrativa diversa e postuma rispetto a quella fissata nel provvedimento impugnato. E difatti il ricorrente:
– assume che l’impugnato “ordine di lasciare il territorio nazionale” concreta “il vizio di violazione dell’art.19 d.lgs. n.286/98, dell’art.10 Cost. dell’art.3 della Cedu e dell’art.4 del Protocollo n.4 alla Cedu” (cfr. pag. 6 ricorso);
– assume che l’ordine de quo viola “palesemente …..il principio del divieto del refoulement di cui all’art.33 della Convenzione di Ginevra……ribadito dall’art.19 del d.lgs. n.286/98” (cfr. pag.7);
– precisa che il principio contenuto nel predetto art.33 “impone agli Stati l’obbligo di non espellere o respingere un rifugiato (o richiedente asilo) in luoghi in cui………..” (cfr. pag.8 ricorso);
– evoca a sostegno della propria tesi precedenti della Suprema Corte concernenti la “decisione di espulsione dello straniero” (cfr. pag.11);
– rileva “il concreto rischio, conseguente all’ottemperanza all’ordine di allontanamento dal territorio nazionale, di essere espulso verso uno Stato in cui ….corre il serio pericolo di…….” (pag.12 ricorso).
Comunque – e cioè anche nel caso in cui l’impressione colta dal Collegio e della quale si è detto fosse non corretta – non può negarsi che il ricorrente ha, per così dire, “giocato troppo d’anticipo” non rendendosi conto che i rilievi argomentativi svolti, concernendo valutazioni discrezionali da effettuarsi prima dell’adozione del provvedimento espulsivo di cui all’art.13 del T.U. (che presuppone inottemperato l’invito a lasciare volontariamente  il territorio nazionale), non sono pertinenti alla determinazione questorile avversata che investe una fase amministrativa precedente (e cioè la mera intimazione a lasciare volontariamente il Paese e presentarsi al posto di polizia di frontiera).
La prima delle censure proposte è dunque infondata.
Infondate sono altresì le due residue censure imperniate l’una sulla circostanza che il documento consegnato al ricorrente non reca alcuna attestazione della sua conformità all’originale; e l’altra (imperniata) sulla violazione dell’art.7 della legge n.241 del 1990 per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento che ha avuto esito nell’atto avversato.
Quanto alla prima di tali due ultime doglianze non può non constatarsi dalla lettura dell’annotazione in calce al decreto avversato che al ricorrente è stato notificato l’originale del decreto e che dello stesso gli è stata fatta consegna di copia che egli ha accettato e sottoscritto per ricevuta. La copia consegnata all’interessato è stata anche sottoscritta dall’ufficiale di p.g. che ha formalizzato la consegna. Non si è dunque in presenza, come nel caso esaminato dalla Cass. civ. I^ sez. n.8427 del 2004 evocato dal ricorrente, di una mera copia libera ed informale dell’atto espulsivo non sottoscritta dal Prefetto e priva di autenticazione da parte del competente funzionario, presentando l’atto impugnato entrambi detti requisiti ed assicurando la sottoscrizione dell’ufficiale di p.g., sino a querela di falso, la sua autenticità e conformità all’originale pur in mancanza della formale dicitura “conforme all’originale”.
Quanto all’ultima censura occorre ricordare che l’art.7 della legge n.241 impone all’autorità amministrativa competente di comunicare all’interessato l’avvio, d’ufficio, di un procedimento che può concludersi con un atto destinato a produrre effetti nella sua sfera giuridica; segue a tanto, e pacificamente, che il provvedimento adottato a seguito dell’instaurazione (come nel caso di specie) di un procedimento ad iniziativa di parte non abbisogna della comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7, l. n. 241 del 1990 (cfr., ex multis, Cons.St. n.1430 del 2008).
II)- Conclusivamente il ricorso, nella parte in cui ha riguardo al decreto del Questore impugnato, è infondato e deve essere respinto.
III)- E’, invece, da ritenersi pacificamente inammissibile, per difetto di giurisdizione (come anche ribadito dalla Suprema Corte con l’ordinanza sopra ricordata), l’impugnativa (peraltro già azionata dal ricorrente innanzi alla competente A.g.o.) della decisione Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato politico.
IV)-La specificità della controversia rende equa la compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio sez. I^ ter pronunciandosi in ordine al ricorso in epigrafe lo dichiara in parte inammissibile, come da motivazione, per difetto di giurisdizione ed in parte lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso, in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sez. I^ ter nella Camera di Consiglio del 9.10.2008, con l’intervento dei sigg.ri Giudici :
Dott. Patrizio Giulia – Presidente
Dott. Pietro Morabito – Giudice rel.ed est.re
Dott. Fabio Mattei – I° Referendario
IL PRESIDENTE
IL MAGISTRATO ESTENSORE

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