TAR Veneto, Venezia, Sezione III, Sentenza n. 2023 del 22 luglio 2008.
E’ illegittima la concessione del rinnovo del permesso di soggiorno al cittadino indiano che non abbia dimostrato di svolgere attività lavorativa al momento della pronuncia dell’autorità, avendo, lo stesso ricorrente, prodotto documentazione fittizia ed insufficiente all’accoglimento della domanda.
La produzione di documentazione relativa a un rapporto di lavoro rivelatosi fittizio, laddove l’interessato sia in grado di dimostrare di essere in possesso, al momento dell’adozione del provvedimento negativo da parte della Questura, di adeguato e lecito reddito, non è sufficiente per negare il rinnovo del permesso di soggiorno. Il diniego infatti, non può farsi derivare direttamente dalla disposizione che dispone che “la presentazione di documentazione falsa o contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di visto comporta automaticamente, oltre alle relative responsabilità penali, l’inammissibilità della domanda”, in quanto si tratta di norma speciale che riguarda soltanto il visto di ingresso, e alla quale non può attribuirsi portata generale, con conseguente applicabilità anche al permesso di soggiorno.
In mancanza di una condanna penale, pertanto, l’unica conseguenza derivante dalla produzione di documentazione relativa a un rapporto di lavoro rivelatosi fittizio è la sua inutilizzabilità nel periodo di riferimento, con tutte le conseguenze del caso sulla (mancata) dimostrazione del possesso dei requisiti concernenti il reddito.
Tuttavia, bisogna tener conto – ai sensi dell’art. 5, comma 5, del t. u. n. 286/98 – degli elementi sopraggiunti prima della decisione dell’Autorità amministrativa, per verificare se siano presenti elementi che consentano di concludere che requisiti originariamente mancanti risultino successivamente posseduti.
La valutazione sul possesso dei requisiti va riferita infatti al momento in cui l’Autorità amministrativa si pronuncia, occorrendo tener conto delle condizioni attuali dello straniero.
Nel caso all’esame, tuttavia, il ricorrente non ha dimostrato, né al momento della presentazione dell’istanza, né in sede di contraddittorio con l’Amministrazione, né in seguito anche, direttamente, in sede giudiziale, lo svolgimento di una adeguata attività lavorativa.
Dalla documentazione prodotta, infatti, si ricava che l’ultima attività lavorativa svolta dal ricorrente prima della presentazione dell’istanza di rinnovo era terminata il 31 agosto 2004: pertanto, al momento della presentazione della istanza suddetta, il ricorrente non lavorava, né poteva ottenere il rilascio di un permesso per attesa occupazione, dato che erano trascorsi ormai più di sei mesi dall’ultima attività lavorativa prestata.
Né risulta che il ricorrente abbia stabilizzato in seguito la sua situazione lavorativa, dato che l’unica attività documentata è il lavoro svolto, nel solo mese di agosto 2006, attività lavorativa che, da sola, è del tutto inadeguata al fine di ritenere raggiunto un reddito sufficiente alla permanenza in Italia. Peraltro, non risulta che lo svolgimento della suddetta attività sia stato portato a conoscenza dell’Amministrazione prima dell’emanazione del provvedimento impugnato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Direttore di Sezione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, con l’intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti Presidente
Marco Buricelli Consigliere, rel. ed est.
Marina Perrelli Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 527/2007, proposto da Sarabjit Sarabjit, rappresentato e difeso dall’avv. Igor Borghettini ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Giorgio Favero in Venezia – Mestre, Via Bissolati 5/5;
CONTRO
l’Amministrazione dell’Interno, in persona del Ministro “pro tempore”, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;
per l’annullamento
del decreto di rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato CAT. A.12/2006/Imm. n. 495 emesso dal Questore di Vicenza in data 15 dicembre 2006 e notificato al ricorrente in data 27 febbraio 2007;
visto il ricorso, notificato il 20 marzo 2007 e depositato in segreteria il 23 marzo 2007, con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato per il Ministero dell’interno, con i relativi allegati;
vista l’ordinanza del Tar Veneto – III sezione, n. 258/07, di rigetto della domanda di misure cautelari;
vista l’ordinanza istruttoria delegata n. 57/08 e la succinta nota di chiarimenti dell’Ufficio immigrazione della Questura di Vicenza, in data 6 giugno 2008;
visti gli atti tutti della causa;
udito, nella pubblica udienza del 3 luglio 2008, il relatore, consigliere Marco Buricelli; nessuno comparso per le parti;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
1.- Il ricorrente, cittadino indiano, in data 10.03.2005 formalizzava istanza di rinnovo del proprio permesso di soggiorno, rilasciato dalla Questura di Latina, allegando, a riprova dello svolgimento di attività lavorativa: una dichiarazione di assunzione rilasciata dalla ditta “JOB CONSUL” della dott.ssa Liljiana Djokovic, con sede in Povegliano Veronese (VR), dalla quale risultava essere stato assunto in data 20.12.2004, una comunicazione di assunzione da parte della stessa ditta, riportante il timbro del Centro per l’impiego di Villafranca, nonché due buste paga relative ai mesi di dicembre 2004 e gennaio 2005.
In seguito alla presentazione della domanda di rinnovo del titolo la Questura della Provincia di Vicenza, con provvedimento del 15 dicembre 2006, notificato il 27 febbraio 2007, dopo avere rilevato, alla luce della nota del Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia pervenuta il 29 settembre 2006, il carattere fittizio del rapporto di lavoro indicato con la ditta Job Consul, e dopo avere rimarcato che lo straniero sarebbe responsabile del reato di cui all’art. 5, comma 8 bis, del t. u. n. 286 del 1998 in quanto, allo scopo di permanere indebitamente sul territorio nazionale, avrebbe coscientemente fatto uso della documentazione attestante il falso approntata dalla Djokovic, ha respinto la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno scaduto.
Avverso il decreto in epigrafe il Sarabjit ha formulato cinque motivi, concernenti violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati aspetti, sostenendo altresì di prestare lavoro dall’agosto del 2006 per la società cooperativa “Xenia servizi”, e di avere comunque sempre lavorato fino al 2004.
L’Amministrazione dell’interno si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.
Con ordinanza n. 258 del 12 aprile 2007 la sezione ha respinto la domanda di misure cautelari affermando che “allo stato il ricorso non appare sorretto da sufficiente “fumus boni juris” “..
Con ordinanza istruttoria delegata 26 maggio 2008, n. 57, è stato ordinato al dirigente dell’Ufficio immigrazione della Questura di Vicenza di verificare la sussistenza , la permanenza e la durata del rapporto di collaborazione asseritamente svolto dal ricorrente con la scarl “Xenia servizi”. L’Amministrazione ha ottemperato all’ordinanza, sottolineando tra l’altro che il rapporto di lavoro del ricorrente con la cooperativa citata ha avuto la durata di un mese (agosto 2006).
Il 2 luglio 2008 gli avvocati Sonia Melissa Negro e Igor Borghettini, del Foro di Vicenza, hanno depositato in segreteria una “istanza rinvio udienza” segnalando che per il 3 luglio 2008 “entrambi risultano impegnati in altre udienze (e) che per tale ragione i sottoscritti saranno impossibilitati a comparire per la suindicata udienza”. Tanto premesso, gli avvocati Sonia Melissa Negro e Igor Borghettini hanno chiesto al Tar “di concedere alla presente difesa il rinvio dell’udienza o, in subordine, richiamandosi integralmente al contenuto del proprio ricorso, di essere sostituiti con difensore d’ufficio all’uopo nominato”.
All’udienza del 3 luglio 2008 il ricorso, assenti i difensori di ricorrente e Amministrazione, è stato trattenuto in decisione ai sensi dell’art. 55 del r. d. n. 642 del 1907.
2.- In via preliminare il collegio ritiene di non poter accogliere la domanda di rinvio dell’udienza.
In primo luogo va rilevato che l’avv. Sonia Melissa Negro, del Foro di Vicenza, non risulta indicata in mandato come difensore del Sarabjit.
In ogni caso, l’impegno in altra udienza, in concomitanza con l’udienza di discussione del ricorso proposto avanti al Tar, non è stato minimamente comprovato.
Non risulta inoltre acquisito l’assenso al rinvio dell’Avvocatura dello Stato.
E’ palesemente inaccoglibile, poi, la richiesta, rivolta al Tribunale, di sostituire il difensore di fiducia con un difensore d’ufficio all’ uopo nominato dallo stesso giudice.
Va soggiunto che nel processo amministrativo il rinvio dell’udienza costituisce, di regola, un evento eccezionale, rientrante, comunque, nella valutazione discrezionale del giudice, e che va salvaguardata l’esigenza di non ritardare la decisione della lite salvo che per gravi ragioni. Del resto, l’art. 55 del r. d. n. 642 del 1907 stabilisce che “il ricorso nel giorno stabilito è deciso, ancorché non intervengano le parti né i loro avvocati”.
La richiesta di rinvio dell’udienza va perciò respinta.
2.1.-Ciò premesso, la prima censura concerne l’asserita nullità del provvedimento impugnato a causa della errata individuazione del destinatario.
La censura è infondata: non sussistono dubbi sul fatto che il provvedimento, destinato al sig. Sarabjit, anziché al signor Sarabjit Sarabjit, è chiaramente e inequivocabilmente diretto al ricorrente, coerentemente con quanto indicato sul passaporto del ricorrente medesimo.
2.2 – In relazione alla seconda censura, inerente alla affermata nullità dell’atto impugnato per violazione dell’art. 13, comma 7, del t. u. 25 luglio 1998, n. 286, e dell’articolo 24 Cost., avuto riguardo al fatto che il provvedimento impugnato risulta scritto solamente in lingua italiana senza traduzione alcuna in lingua conosciuta allo straniero, il collegio, per rigettare il motivo, ritiene sufficiente richiamare la ormai pacifica giurisprudenza che vede, nella mancata traduzione dell’atto impugnato, una mera irregolarità, rilevante esclusivamente ai fini della rimessione in termini del ricorrente, qualora la mancata traduzione non abbia consentito la tempestiva impugnazione dell’atto lesivo, non rilevando invece come vizio di legittimità idoneo ad annullare l’atto stesso. Inoltre, la permanenza dello straniero sul territorio italiano a partire dal 2003 appare di per sé idonea a comprovare che il ricorrente comprende la lingua italiana. Il ricorrente si è poi costituito nei termini e la mancata traduzione dell’atto non gli ha impedito di svolgere adeguatamente le proprie difese.
2.3- Anche la terza censura, che riguarda il vizio di eccesso di potere sotto i profili del travisamento e della erronea valutazione dei fatti e della ingiustizia manifesta, in quanto la Questura non avrebbe tenuto conto dell’ignoranza, da parte del ricorrente, della falsità della documentazione prodotta, è infondata e va respinta. Infatti, non si comprende come il ricorrente potesse non sapere che la documentazione da lui stesso prodotta era falsa, non avendo il Sarabjit mai prestato effettivamente l’attività lavorativa alla quale la documentazione medesima si riferisce (fatto questo mai smentito dallo stesso ricorrente), ed essendo quindi a conoscenza del fatto di non avere i requisiti per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. Il riscontro della falsità della documentazione, peraltro, appare sufficientemente circostanziato e il giudizio dell’Amministrazione sulle conseguenze che esso comporta in sede amministrativa ben può prescindere –diversamente da ciò che sembra ritenere il ricorrente nell’ultima parte della terza censura- dall’accertamento in sede penale delle eventuali responsabilità del ricorrente stesso. In altre parole, l’Amministrazione ha attendibilmente considerato fittizio il requisito della attività lavorativa svolta alle dipendenze di Job Consul. Inoltre, contrariamente a quanto affermato in ricorso, la falsità della documentazione suddetta era già stata contestata allo straniero in sede di avviso di avvio del procedimento, quindi già da allora il ricorrente sapeva qual era l’ostacolo al rinnovo del titolo di soggiorno richiesto.
2.4 –In merito al quarto motivo, è appena il caso di rilevare che il fatto che l’Amministrazione, nel marzo del 2005, avesse rinnovato al Sarabjit il permesso scaduto nel dicembre del 2004 ritenendo valida e utilmente valorizzabile la documentazione Job Consul non impediva di certo alla Questura, alla luce delle indagini della G. di F. , di rifiutare, alla fine del 2006, il rinnovo del permesso, considerando, in modo attendibile, fittizio il presupposto dell’attività lavorativa svolta alle dipendenze di Job Consul.
2.5 – In relazione, infine, all’ultima censura svolta dal ricorrente, inerente la mancata considerazione, da parte della Questura, della sussistenza, in capo al ricorrente medesimo, dei requisiti per ottenere un permesso di soggiorno per attesa occupazione e riguardante l’omessa considerazione, da parte della autorità emanante, del sopravvenuto reperimento, da parte del Sarabjit, di nuova, regolare occupazione a far data dall’agosto 2006 presso la scarl Xenia Servizi, occorre osservare quanto segue.
Questa sezione ha già avuto modo di stabilire (cfr. Tar Veneto, III, 22 ottobre 2007, n. 3367, 5 ottobre 2007, n. 3177, 24 luglio 2007, n. 2588) che la produzione di documentazione relativa a un rapporto di lavoro rivelatosi fittizio, laddove l’interessato sia in grado di dimostrare di essere in possesso, al momento dell’adozione del provvedimento negativo da parte della Questura, di adeguato e lecito reddito, non è sufficiente per negare il rinnovo del permesso di soggiorno. Il diniego infatti, non può farsi derivare direttamente dalla disposizione di cui all’art. 5, comma 8 bis, del t. u. n. 286 del 1998, che è norma penale incriminatrice priva di immediata valenza in sede amministrativa; né dall’art. 4, comma 2, del medesimo t. u. , il quale dispone che “la presentazione di documentazione falsa o contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di visto comporta automaticamente, oltre alle relative responsabilità penali, l’inammissibilità della domanda”, in quanto si tratta di norma speciale (a fattispecie esclusiva) che riguarda soltanto il visto di ingresso, e alla quale non può attribuirsi portata generale, con conseguente applicabilità anche al permesso di soggiorno.
In mancanza di una condanna penale, pertanto, l’unica conseguenza derivante dalla produzione di documentazione relativa a un rapporto di lavoro rivelatosi fittizio è la sua inutilizzabilità nel periodo di riferimento, con tutte le conseguenze del caso sulla (mancata) dimostrazione del possesso dei requisiti concernenti il reddito.
Tuttavia, secondo un indirizzo giurisprudenziale fatto proprio anche da questa sezione (cfr. Tar Veneto, III, 5 ottobre 2007, n. 3177 e 24 luglio 2007, n. 2588; Consiglio di Stato, VI, 5 giugno 2007, n. 2988; id. 22 maggio 2007, 2594; Tar Lazio, Roma, II Quater, 3 ottobre 2007, n. 9717), bisogna tener conto – ai sensi dell’art. 5, comma 5, del t. u. n. 286/98 – degli elementi sopraggiunti prima della decisione dell’Autorità amministrativa, per verificare se siano presenti elementi che consentano di concludere che requisiti originariamente mancanti risultino successivamente posseduti.
La valutazione sul possesso dei requisiti va riferita infatti al momento in cui l’Autorità amministrativa si pronuncia, occorrendo tener conto delle condizioni attuali dello straniero (cfr. Cass. , 3 febbraio 2006, n. 2417).
Nel caso all’esame, tuttavia, il ricorrente non ha dimostrato, né al momento della presentazione dell’istanza, né in sede di contraddittorio con l’Amministrazione, né in seguito anche, direttamente, in sede giudiziale, lo svolgimento di una adeguata attività lavorativa.
Dalla documentazione prodotta, infatti, si ricava che l’ultima attività lavorativa svolta dal ricorrente prima della presentazione dell’istanza di rinnovo era terminata il 31 agosto 2004: pertanto, al momento della presentazione della istanza suddetta, il ricorrente non lavorava, né poteva ottenere il rilascio di un permesso per attesa occupazione, dato che erano trascorsi ormai più di sei mesi dall’ultima attività lavorativa prestata.
Né risulta che il ricorrente abbia stabilizzato in seguito la sua situazione lavorativa, dato che l’unica attività documentata è il lavoro svolto, nel solo mese di agosto 2006, a favore della cooperativa “Xenia servizi”, attività lavorativa che, da sola, è del tutto inadeguata al fine di ritenere raggiunto un reddito sufficiente alla permanenza in Italia. Peraltro, non risulta che lo svolgimento della suddetta attività sia stato portato a conoscenza dell’Amministrazione prima dell’emanazione del provvedimento impugnato.
In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto. Concorrono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 3 luglio 2008.
Il Presidente l’Estensore
Il Segretario
SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Terza Sezione