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Clandestini. Esperto Usa: “Carcere non è la soluzione”

L’opinione di Joseph Chamie, direttore del Center for Migration Studies di New York, già responsabile per la Demografia all’Onu. VENEZIA, 13 giugno 2008 – "Mandare un immigrato clandestino in carcere non è la soluzione".

Ne è convinto lo studioso americano Joseph Chamie, direttore del Center for Migration Studies di New York, già responsabile per la Demografia all’Onu.

"Cosa si fa con gli immigrati una volta che sono in carcere? E quando ne escono? – si è chiesto, intervenendo al Venice Forum sull’immigrazione. Certi problemi vanno affrontati con l’educazione, i servizi pubblici, la sorveglianza. Gli immigrati non li si può mettere in prigione, perché sono troppi, diventerebbero dei criminali, creerebbero più problemi che risolverne, e anche perché non li si può stigmatizare". Se dunque "non c’é lavoro per loro, bisogna rimandarli nel loro paese", sottolinea Chamie, rilevando che "tutti i paesi hanno lo stesso problema: l’India con il Bangladesh, il Pakistan con gli iraniani, gli Usa con i messicani, e via dicendo".

"Deve esserci una qualche autorità che decide che devono lasciare il paese – aggiunge – ma si fa perdere credibilità al sistema, se poi non si riesce ad attuare le leggi. Non si possono fare minacce a vuoto. Se si sa che non si riesce a rimandali indietro, è meglio non avviare nemmeno le procedure legali".

Ma soprattutto bisogna considerare, avverte, le ferree leggi della demografia: "Nei prossimi 45 anni la popolazione africana raddoppierà – sottolinea – mentre quella europea continuerà ad invecchiare e diminuire. Nei prossimi 50 anni, calcola ancora Chamie, i paesi più sviluppati accoglieranno più di 2,5 milioni di immigrati l’anno: gli Usa ne riceveranno quasi la metà, la Germania 220 mila, l’Ialia 120 mila. "Si possono fare tutte le leggi in Parlamento – conclude – ma non si può contrastare le norme di ferro della demografia.

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