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Financial Times: Italia a rischio xenofobia

Il quotidiano britannico punta il dito contro linguaggio e misure del governo ROMA – 21 agosto 2008 – Le misure sulla sicurezza varate dal governo italiano, in particolare la raccolta delle impronte digitali nei campi nomadi, rischiano di "aggravare la percezione" di pericolo diffusa tra i cittadini della Penisola e di "alimentare reazioni xenofobe" anche contro gli immigrati regolari.

È quanto si legge in un editoriale pubblicato ieri dal Financial Times, che cita anche il recente appello di papa Benedetto XVI contro "le nuove forme di razzismo". Nel suo appello di domenica, notava il quotidiano britannico, "il Papa non ha menzionato l’Italia, ma la sua preoccupazione segue la pubblicazione di un esplicito editoriale" da parte di Famiglia Cristiana che "ha fatto infuriare il governo Berlusconi, suggerendo la possibilità che il fascismo stia tornando in Italia ‘sotto altre forme’ ".

"Sebbene il Vaticano insista nel sostenere che il settimanale dei Paolini non rappresenta il suo punto di vista – osserva il Financial Times – l’intervento del Pontefice fa intendere che la preoccupazione (per la situazione in Italia, ndr) abbia raggiunto il livello piu’ alto" nelle gerarchie ecclesiastiche. Il quotidiano finanziario sostiene infatti che in Italia non ci siano prove evidenti di quell’ "ondata di criminalità" denunciata dal governo, ma solo una "percezione" diffusa di pericolo.

Sarebbe troppo semplice parlare di fascismo, si sostiene nell’editoriale, ma e’ certo che "il linguaggio incendiario usato da esponenti di governo, assieme a misure volte a colpire singoli gruppi etnici, come gli zingari, hanno terribili precedenti nella storia". L’Ft sottolinea come in altre parti d’Europa, ad esempio in Spagna, ci si confronti con un numero di immigrati ben più consistente rispetto all’Italia senza arrivare ad eccessi e nota come ”la chiave” per gestire al meglio il fenomeno sia governare i processi migratori e non "gettare benzina sul fuoco del pregiudizio contro i meno protetti".


Leggi l’editoriale del Financial Times (in inglese)

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