Il reato di “ingresso e soggiorno illegale” resta fuori dal decreto sulle depenalizzazioni. Orlando: “Tema caldo, ne discutano Camera e Senato”, che però avevano già deciso un anno e mezzo fa
Roma – 13 novembre 2015 – Colpo di scena. Sull’abolizione del reato di clandestinità, il governo ha deciso di non decidere.
Un anno e mezzo fa il Parlamento ha votato a favore della depenalizzazione dell’ “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”. Un reato che non ha mai funzionato come deterrente, né ha mai mandato in galera nessuno: la pena era comunque l’espulsione, già prevista, anche senza reato, per chiunque è in Italia senza permesso di soggiorno.
In compenso, quel reato ha trasformato ogni irregolare in un criminale, ingolfando il lavoro delle Procure, costrette a iscrivere migliaia di persone nel registro degli indagati. Sulla sbarra degli imputati sono finite anche le vittime dei trafficanti di uomini, come i sopravvissuti alle stragi dei barconi, a partire da quella di Lampedusa.
Approvando la legge delega sulle depenalizzazioni, Camera e Senato avevano detto quindi al governo di “abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo” il reato di clandestinità. Oggi il consiglio dei ministri ha finalmente approvato in via preliminare il decreto legislativo sulle depenalizzazioni, ma all’interno del testo, sul quale Camera e Senato dovranno ora esprimere un parere, non c’è traccia di quell’abrogazione.
“Abbiamo lasciata aperta una finestra per una riflessione del Parlamento per quanto riguarda la questione del reato di immigrazione clandestina” ha spiegato in conferenza stampa il ministro della Giustizia Andrea Orlando. “È un tema caldo , che però non è affrontato in questo testo. Il reato resta, non viene depenalizzato – ha ribadito – immaginiamo che nelle commissioni ci sarà una discussione e credo che sarà importante rispetto alla decisione finale che assumerà il governo”.
Riassunto per chi avesse perso il filo. Il Parlamento ha già detto al governo di cancellare il reato di clandestinità. Un anno e mezzo dopo, però, il governo chiede di nuovo al Parlamento se deve cancellarlo. Il “tema caldo”, evidentemente, scotta troppo.
Elvio Pasca