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Regolarizzazione. I patronati: “Esclusi tre quarti degli interessati”

Inas, Inca, Ital e Acli: “Ci sono state restrizioni eccessive, nonostante i nostri solleciti al governo. Il numero delle domande è molto ridotto rispetto alla realtà del lavoro irregolare”

Roma – 22 ottobre 2012 – La regolarizzazione interessava tanti, ma è servita relativamente a pochi a causa dei limiti imposti dal governo. Lo dimostrano lavoratori e datori che si sono rivolti agli sportelli dei patronati e che solo una volta su quattro hanno potuto presentare la domanda.

A ribadire il senso dell’”occasione mancata” è il Cepa, l’organismo che riunisce Inas, Inca, Ital e Acli. I quattro patronati rivendicano in un comunicato di essersi “impegnati per primi nella campagna di emersione dal lavoro nero. Ciò è avvenuto nonostante i vincoli inseriti nella legge e nonostante le interpretazioni restrittive imposte  nella istruttoria delle domande”.

Una precisazione che sembra indirizzata ad Andrea Riccardi. Qualche giorno fa, in un’intervista al Corriere della Sera, il ministro dell’Integrazione ha infatti lamentato il “ruolo minore rispetto al passato” che avrebbero giocato in questa regolarizzazione i patronati, suggerendo che “forse c’è stato meno incoraggiamento dal mondo associativo, che si è dedicato più a far notare i limiti che l’opportunità offerta dal provvedimento”.

Inas, Inca, Ital e Acli ricordano invece di “aver sollecitato in queste settimane  il Governo e la Pubblica Amministrazione perché si superassero le eccessive restrizioni che questa regolarizzazione ha posto nei confronti dei datori di lavoro e dei lavoratori coinvolti. Vincoli economici e i vincoli legati alla dimostrazione della presenza del lavoratore che solo in parte sono stati alleggeriti da una interpretazione autentica del 4 ottobre scorso, quasi a fine campagna”.

“E’ nostro impegno, nella tutela di chi si rivolge a noi, operare all’interno delle leggi dello Stato” premettono i patronati. Quindi ricordano che “durante la campagna di emersione abbiamo avuto contatti pari a quattro volte il numero delle domande presentate. Per tre quarti degli interessati non è stato quindi possibile presentare domanda di emersione perché non rientrava nei limiti che la legge ha imposto”

“Riteniamo  – conclude il Cepa – che il numero complessivo delle domande di emersione sia ancora molto ridotto rispetto alla realtà del lavoro irregolare che si presenta sul territorio e che anche il numero ridotto delle domande dalle imprese, il 14% del totale, evidenzi che questa opportunità non è stata sfruttata”.

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