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Addio al “vu cumprà”: la Treccani ricostruisce la storia lessicale di un’espressione razzista

Roma, 26 luglio 2025 – Con l’arrivo dell’estate, l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana lancia una riflessione profonda su una delle espressioni più controverse del lessico italiano contemporaneo: “vu cumprà”. Nata negli anni Ottanta e diffusasi rapidamente nei media e nel linguaggio comune, questa locuzione ha rappresentato per decenni un’etichetta discriminatoria e razzista rivolta principalmente ai venditori abusivi africani, consolidando stereotipi che ancora oggi lasciano tracce nella cultura collettiva.

La parola torna al centro del dibattito grazie al progetto “R&S – Ricerca e soccorso. Piccolo dizionario di parole migranti”, pubblicato sulla rivista Lingua italiana della Treccani e curato da Rocco Luigi Nichil, docente e studioso del linguaggio. L’intervento inaugura un nuovo ciclo dedicato al lessico migratorio, un campo che rivela l’intreccio profondo tra linguaggio, dinamiche sociali e identità culturali.

La prima apparizione del termine risale a un articolo di Raffaella Candoli sul Resto del Carlino del 1986, seguito da un pezzo di Uber Dondini sulla Stampa, in cui si davano voce alle proteste dei commercianti romagnoli contro i venditori ambulanti. Ma è negli anni Ottanta, complice anche il varietà televisivo “L’Araba Felice” condotto da Mazouz M’Barek (noto come Patrick), che “vu cumprà” conquista un posto nella cultura popolare, spesso con connotazioni grottesche o paternalistiche.

Quella che Nichil definisce una vera e propria “invasione linguistica” produce negli stessi anni altri occasionalismi dispregiativi, come vu’ emigrà, vu’ campà, vu’ drugà, vu’ studià, riflesso di un’epoca in cui il linguaggio si faceva veicolo di esclusione. L’espressione arriva persino nelle aule parlamentari, usata indifferentemente da deputati del PCI e del MSI, a conferma della sua ampia, quanto inquietante, diffusione.

Non mancano, però, le reazioni critiche. Nel 1989, Dacia Valent, ex parlamentare europea, denuncia sulla Unità la deriva disumanizzante di questi termini, ribadendo che “i diritti umani spettano a tutti”, a prescindere da cittadinanza, origine o colore della pelle.

Secondo lo studioso Federico Faloppa, autore del saggio “Razzisti a parole (per tacer dei fatti)”, il termine ha goduto di grande fortuna editoriale fino all’inizio degli anni Novanta, per poi cadere progressivamente in disuso. Una tesi confermata anche dalla banca dati del Corriere della Sera, che dal 1993 in poi registra solo sporadiche occorrenze della locuzione.

Oggi, il recupero di questa storia lessicale assume un valore simbolico. “Ricostruire la storia di una parola come vu cumprà – sottolinea Nichil – può sembrare banale, ma in realtà serve a spezzare l’illusione di un eterno presente linguistico e culturale. Ogni parola ha una genesi, una diffusione e, fortunatamente, può avere anche una fine”.

E così, in un’estate del 2025 che cerca di guardare al futuro con occhi nuovi, ci si può finalmente augurare di lasciarsi alle spalle non solo certi cliché balneari, ma anche una stagione linguistica segnata da esclusione, paura dell’altro e razzismo sistemico.

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