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Islam e immigrazione. “Basta banalità o pregiudizi, la Rai faccia vera informazione”

La lettera appello di un gruppo di studiosi, giornalisti, scrittori ed educatori alla Commissione di Vigilanza. “Dare voce all’integrazione e aprire un dibattito non isterico sulla convivenza”

 

 

Roma – 30 novembre 2015 – Perché la Rai non racconta davvero  l’immigrazione e l’Islam? Perché alla propaganda del Daesh, che pesca proseliti nella disinformazione, oltre che nel disagio, il servizio pubblico non sa opporre un’informazione corretta, che restituisca il volto di un’Italia sempre più multietnica e pacificamente multiculturale? 

Ci sono oltre 5 milioni di immigrati in Italia, 1,6 milioni di musulmani. Sui telegiornali o nei programmi che dovrebbero essere di approfondimento si parla però solo di terroristi, criminali, clandestini e profughi disperati, in un pericoloso calderone dove i casi personali diventano generali e dove spesso le vittime vengono presentate come carnefici. 

Dopo che le stragi di Parigi hanno riempito i media italiani di luoghi comuni, inesattezze, mostri, bufale e incitazioni all’odio, un gruppo di studiosi, giornalisti, scrittori ed educatori hanno scritto una lettera-appello alla Commissione parlamentare di vigilanza. Eccola: 

Gentili membri della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi,

Viviamo un momento storico eccezionale, in cui la comunicazione è fondamentale per la nostra convivenza. L’organizzazione criminale e terroristica per eccellenza, il Daesh o cosiddetto Islamic State, ce lo ha ricordato utilizzando in modo straordinario l’arma della propaganda del terrore, fino a portarlo a casa nostra.

La strategia comunicazionale del Daesh si divide almeno in due parti. Nella prima, che riguarda l’indottrinamento, oltre ad altri strumenti, sono bastati YouTube, i social network come FB e Twitter, per penetrare capillarmente e riuscire a fare il lavaggio del cervello a migliaia di giovani, e aggiudicarsi un esercito di seguaci. La seconda parte, forse anche più pericolosa, è quella che consiste nello sfruttare il malcontento sociale – la crisi economica, le varie crisi di convivenza e di identità, i problemi di integrazione con al centro le comunità straniere che vivono in Europa – per segnare in modo più netto, le divisioni, lo scontro, la paura e per seminare la sfiducia.

Tale propaganda vuole deliberatamente inculcare e divulgare l’idea di una società totalitaria, monodimensionale, in cui le differenze, le sfumature, il pensiero critico sono banditi, annullati. Niente di più lontano dallo stesso mondo plurale che, in Europa e in altre parti del mondo, i musulmani vivono quotidianamente.

 Tutto ciò potrebbe trasformarsi in una trappola micidiale.

Tenendo ben chiara questa minaccia, abbiamo di fronte una grande sfida per il nostro futuro, a partire  dalla nostra comunicazione.

 Sino ad oggi, purtroppo, i nostri media, con in testa il servizio pubblico, non sono riusciti ad essere rappresentativi nel racconto della pluralità, costituita dalle comunità straniere, con le quali ci troviamo a convivere ogni giorno. Ancor di più questo vale per la comunità islamica, che si trova ad affrontare molteplici sfide e minacce nella convivenza con le altre.

 Mai come oggi è necessario ripensare ai modi della nostra comunicazione sui temi delle differenze culturali.

Sull’onda della emergenza di questi giorni, dopo gli attentati a Parigi, si è evidenziata ancora di più la forte mancanza di una struttura di informazione capace di raccontare le molteplici sfaccettature di cui si compone la realtà variegata delle nostre comunità. Si è vista più la disintegrazione che l’integrazione, che è invece un aspetto importante della realtà della società italiana, ricca anche di successi in questo campo, di cui l’Italia può essere orgogliosa.

I dieci giorni del racconto e dell’analisi di ciò che è successo in Francia si sono trasformati nel miglior palcoscenico per un lavoro giornalistico che è stato spesso superficiale nell’affrontare i temi delle differenze culturali. Certamente non si tratta di realtà facili da raccontare, a causa della loro complessità, ma proprio per questo sono anche facilmente strumentalizzabili.

Per questo motivo, diventa necessario se non urgente, creare più spazi per l’approfondimento. Dove dare voce all’integrazione, il racconto delle storie di successo della multiculturalità, i ritratti di vita quotidiana delle persone di origine straniera che vivono e lavorano insieme agli italiani. E anche a un dibattito non isterico sulle problematiche della convivenza.

La professionalità oltre alla specializzazione degli ospiti e dei promotori, nel trattare certi argomenti, deve diventare un pilastro fondante di questo spazio.

 Per non assistere, a un racconto che mischia pericolosamente argomenti diversissimi – l’Islam con immigrazione, i profughi con la jihad, il terrorismo e il fanatismo – con il risultato di creare una disinformazione sommaria, talora mostruosa, con il rischio di gravi conseguenze in chiave di convivenza.

Basterebbe un piccolo sforzo per mettere i riflettori nella direzione giusta.  Per scoprire temi che non si conoscono invece di ribadire le solite banalità e dare sfogo ai soliti pregiudizi.

 È necessario, con le sfide che ci troviamo ad affrontare, dotarsi di spazi di altissima qualità e di altissimo approfondimento giornalistico per una informazione caleidoscopica, pluralistica, che dia voce a studiosi e professionisti, così come a storie che siano rappresentative della integrazione che viviamo in Italia. È fondamentale aprire uno spazio di dibattito vero, dove la pluralità delle comunità, compresa quella islamica, possa raccontarsi con le sue luci e le sue ombre. È davvero sorprendente che il servizio pubblico in Italia non riesca ancora a raccontare l’immigrazione se non in chiave di cronaca, e l’Islam se non in chiave di fanatismo e terrorismo. Siamo in ritardo, certo, ma siamo sempre in tempo per far valere l’ambizione e il coraggio di credere in un’informazione che dia conto delle tante diversità.

firmatari

Biancamaria Scarcia Amoretti, orientalista e scrittrice italiana, Professore Emerito di Islamistica alla Sapienza di Roma.

Massimo Campanini, storico del Vicino Oriente contemporaneo e della filosofia islamica.

Paolo Branca, islamologo.

Karima Moual, giornalista, arabista, esperta di Islam europeo e immigrazione.

Giancarlo Bosetti, direttore di Reset-Dialogues on Civilizations.

Lorenzo Declich, esperto di mondo islamico contemporaneo, arabista.

Igiaba Scego, scrittrice.

Mohamed Hashas, ricercatore su pensiero islamico contemporaneo e europeo, scrittore.

Moulay Zidane Al Amrani, sociologo e arabista.

Farian Sabahi, cultore della materia “Storia dei Paesi islamici”, Università di Torino.

Alessandro Leogrande, scrittore.

Karim Metref, blogger, educatore”

 

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