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Cittadinanza, il “no” imprevisto degli elettori di centrosinistra

Roma, 13 giugno 2025 – La vera sorpresa del recente referendum sulla cittadinanza non sta tanto nel mancato raggiungimento del quorum, prevedibile in un clima generale di apatia politica, quanto nel dato politico profondo che emerge dal voto. Inaspettatamente, molti elettori di sinistra hanno espresso un “no” deciso al dimezzamento del requisito di residenza per gli immigrati, dimostrando come anche il fronte progressista non sia immune alle paure e ai pregiudizi che spesso animano il dibattito pubblico sull’immigrazione.

La percentuale è chiara: il 34,5% di chi è andato ai seggi ha bocciato una proposta apparentemente moderata, quella di ridurre da dieci a cinque anni il tempo necessario per richiedere la cittadinanza italiana, mantenendo comunque requisiti rigorosi come la conoscenza della lingua, l’assenza di precedenti penali e la stabilità economica. Una proposta avanzata da +Europa, sostenuta da un ampio schieramento di centrosinistra e associazioni, e che nelle intenzioni avrebbe dovuto mandare un forte segnale politico al governo Meloni.

Invece, il segnale è tornato indietro come un boomerang. Non tanto perché il quorum non è stato raggiunto, quanto perché quel “no” è arrivato anche da settori insospettabili: molti iscritti al sindacato, lavoratori tradizionalmente sensibili alle lotte per i diritti, hanno scelto di respingere l’idea di facilitare l’accesso alla cittadinanza agli stranieri. Questo è il vero elemento politico che dovrebbe far riflettere i dirigenti del centrosinistra.

Perché accade questo? Certamente, pesano anni di narrazione negativa sull’immigrazione, spesso alimentata da forze politiche di destra ma anche da una certa incertezza del centrosinistra stesso nel trattare la questione. Si è forse sottovalutata la complessità del tema, pensando che bastasse una campagna di sensibilizzazione basata esclusivamente sui valori della solidarietà e dell’accoglienza. Ma molti cittadini di sinistra vivono sulla propria pelle le difficoltà economiche e sociali, e in assenza di politiche più ampie di integrazione, anche loro possono percepire l’immigrazione come una minaccia, più che una risorsa.

Questa “rivolta silenziosa” di una parte della base progressista dovrebbe indurre il centrosinistra a un serio ripensamento. Non si tratta di rinunciare ai propri principi, ma di elaborare una strategia politica e comunicativa più efficace e coerente, capace di rassicurare e coinvolgere anche chi oggi si sente insicuro. È tempo di comprendere che solidarietà e sicurezza, integrazione e giustizia sociale non sono concetti opposti, ma possono e devono andare di pari passo.

Se questa lezione verrà imparata, il fallimento di questo referendum potrebbe trasformarsi per gli elettori progressisti in un’opportunità preziosa per affrontare finalmente in maniera più equilibrata e realistica la questione dell’immigrazione e della cittadinanza in Italia.

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