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Cittadinanze forti e cittadinanze deboli, quando il passaporto fa la differenza

Gli italiani entrano senza visto in 175 Paesi del mondo, i pakistani solo in 29. Il Visa Restrictions Index 2016 racconta per chi si aprono e per chi si chiudono le frontiere

 

Roma – 15 marzo 2016 – La cittadinanza giusta può aprire le frontiere, perché i passaporti non sono tutti uguali. 

Chiedetene conferma a un giovane berlinese annoiato che abbia voglia di girare il mondo: dovrà solo preparare le valigie, poi viaggerà liberamente in ben centosettantasette Paesi. Tutt’altra storia per un suo coetaneo di Kabul, che potrà invece visitare solo altri venticinque Paesi senza dover chiedere prima un visto d’ingresso, tra l’altro con scarsissime chance di ottenerlo. Otto a uno. 

La cittadinanza tedesca e quella afghana sono ai due poli opposti del Visa Restrictions Index 2016, una classifica stilata da Henley & Partners, multinazionale decisamente interessata alla materia. È infatti specializzata in “residence and citizenship planning”, tradotto per i comuni mortali vuol dire, per esempio, che per conto del governo di La Valetta sta gestendo la vendita di cittadinanze maltesi (e quindi dell’Unione Europea) a facoltosi investitori stranieri. 

Se il podio delle cittadinanze più “forti”  è dominato dai compaesani di Angela Merkel, al secondo posto si piazza la Norvegia, i cui cittadini entrano liberamente in 176 paesi. L’Italia conquista comunque un ottimo e un po’ affollato terzo posto, insieme a Francia, Spagna, Regno Unito e Finlandia: non abbiamo bisogno di visto in 175 altri Paesi.

Tra le cittadinanze più “deboli”, subito prima dell’Afghanistan che chiude al 104 esimo posto, troviamo invece Paesi segnati spesso dalle guerre e dai regimi dittatoriali. L’Eritrea, ad esempio, è al 98 esimo posto (gli eritrei viaggiano senza visto solo in 37 Paesi), seguita, gradino dopo gradino, da Libia (36), Siria (32), Somalia (31),  Iraq (30) e Pakistan (29). 

Ecco allora che alta e bassa classifica diventano Nord e Sud del mondo. Quassù Paesi che godono di frontiere aperte per i propri cittadini, ma alzano muri e fili spinati per chi arriva da fuori, laggiù Paesi i cui cittadini sono destinati a scontrarsi con quei muri e a rimanere incagliati nei fili spinati,  dopo aver spesso rischiato la vita anche solo per uscire dai propri confini. 

Mentre in Italia si insegue faticosamente una riforma della cittadinanza, il Visa Restrictions Index può anche dare un’idea di cosa vorrebbe dire per un milione di figli di immigrati diventare italiani anche per la legge.

Ragazzi oggi condannati a chiedere sempre “permesso” da passaporti albanesi, marocchini, cinesi, ucraini o filippini che hanno ereditato dai loro genitori potrebbero fare finalmente i cittadini del mondo. Come i “global citizens” dei quali parla Henley & Partners nelle sue brochure, solo che quelli la cittadinanza giusta se la possono comprare. 

Elvio Pasca

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Visa Restrictions Index 2016 (Henley & Partners)

 

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