In arrivo il chiarimento del Ministero del Lavoro. Salverebbe le famiglie da un salasso che può arrivare a 1450 euro
Roma – 7 febbraio 2013 – Quando interrompono un rapporto con una colf, una badante o una babysitter, i datori di lavoro domestico non devono versare anche il nuovo “contributo per il licenziamento”. Quella gabella, introdotta dal primo gennaio scorso dalla Legge Fornero per finanziare l’Assicurazione Sociale per l’Impiego, colpisce solo le imprese.
Manca ancora un comunicato ufficiale di via Fornovo (è atteso per oggi), ma sarebbe questa l’interpretazione data dai tecnici dei ministeri del lavoro al comma 31 dell’articolo 2 della legge 92/2012. Oppure la modifica che si vuole introdurre. Quello norma prevede infatti che chi licenzia un lavoratore assunto a tempo indeterminato deve pagare all’Inps anche una “somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni”.
Non facendo distinzioni tra datori di lavoro, a prima vista colpisce anche i datori di lavoro domestico. Come ha denunciato l’Assindatcolf, anche in casi di licenziamento per giusta causa, e indipendentemente dalle ore previste dal contratto, dovrebbero sborsare fino a 1450 euro. È una “tagliola” che rischia di favorire il lavoro nero in un settore dove già imperversa il sommerso, hanno commentato i sindacati.
Fino a stamattina, anche l’Inps accreditava quell'interpretazione, “perché non sia così, bisogna cambiare la legge” commentavano gli esperti dell’Istituto. A quanto pare, però, il confronto intavolato nei giorni scorsi dalla Federazione italiana datori di lavoro domestico con il ministro del Lavoro ha dato i suoi frutti e dagli uffici di Fornero è in arrivo un chiarimento che salverà le famiglie dalla nuova tassa. Teresa Benvenuto, segretario nazionale di Assindatcolf, ci spera: “Confidiamo che sia questa la strada scelta, ma attendiamo un comunicato ufficiale”.
Elvio Pasca