Inchiesta del settimanale Panorama di questa settimana ROMA, 15 dicembre 2008 – In Italia lavorano poco meno di 1 milione 200 mila collaboratori domestici ma di tutte queste persone all’Inps ne risultano appena 560 mila, comprendendo pure chi versa i contributi per una sola ora di servizio a settimana.
Lo rileva un’inchiesta del settimanale Panorama di questa settimana.
Secondo il Censis – spiega il settimanale – elaborando le indagini campionarie dell’Istat e le risposte delle famiglie sul rapporto con eventuali collaboratori domestici, si arriva alla conclusione che gli irregolari, cioè i lavoratori totalmente in nero, siano in numero più o meno equivalente, anzi leggermente più alto di quello dei dipendenti regolarmente denunciati all’Inps, sia per quanto riguarda gli italiani sia per quanto riguarda gli stranieri. Da qui si arriva a sfiorare nel complesso il milione 200 mila unità, una cifra che lo stesso Censis considera stimata in modo assai prudente e che è composta per oltre il 70 per cento da personale proveniente da altri paesi. Per larga parte i lavoratori totalmente in nero sono, appunto, stranieri, spesso anche senza permesso di soggiorno.
Secondo l’esperienza dei caf interpellati da Panorama, cioè le organizzazioni che aiutano i contribuenti a fare la dichiarazione dei redditi, appena un terzo delle colf e delle badanti con i contratti a orario più lungo presenta redditi che superano la soglia minima dell’esenzione e quindi deve versare le imposte. Secondo il settimanale per avere un’idea delle grandezze in gioco basti dire che la contribuzione per i contratti da oltre 30 ore a settimana ha riguardato nel 2007, secondo le più recenti tabelle dell’Inps, 65.219 persone, di cui oltre 55 mila stranieri.
Perché avvengono le irregolarità si chiede Panorama? Ovviamente – spiegano – la famiglia ha interesse a risparmiare e la badante ad avere più soldi netti in tasca. Ma l’accordo perverso tra datore di lavoro e dipendente in questo caso non spiega fino in fondo la vastità del fenomeno. Basti citare a titolo di esempio altre due ragioni che oggi sono alla base della generale tendenza all’irregolarità nel lavoro domestico. La prima riguarda la consistenza della pensione che, data la scarsa entità dello stipendio, maturano colf e badanti: dopo 30 anni di contributi pieni, magari per otto ore al giorno, si è no arrivano al minimo Inps. La seconda ragione deriva dalla provenienza geografica delle collaboratrici familiari: a differenza delle prime ondate di immigrazione, dalle Filippine o dal Sud America, oggi prevale l’arrivo di collocaboratori familiari dai paesi dell’Europa dell’Est. Ciò ha provocato un cambiamento di fondo. Tutte le indagini indicano che le nuove colf e badanti non vogliono restare qui e neppure portarsi a casa i contributi, tanto più che molti dei loro paesi di origine non hanno neppure firmato le convenzioni con l’Italia. Il loro obiettivo è un altro: mettere da parte il gruzzolo più pingue possibile in pochi anni e poi tornare dai propri cari. In altre parole, hanno interesse a incassare soldi, non contributi.
La conseguenza di tutta questa irregolarità alla fine si scarica sul sistema fiscale. Spiega Paolo Conti del Caf Acli: “Il reddito dei collaboratori domestici è a tutti gli effetti reddito da lavoro dipendente. Il minimo per essere obbligati a fare la dichiarazione è pari a 7.500 euro l’anno. Se poi si hanno familiari a carico il limite sale: per esempio, con un figlio si superano i 9 mila euro e così via”. Oltre queste soglie si pagano le imposte. Al di sotto, niente. Ma appunto, con tutte queste irregolarità, chi arriva a versare qualche manciata di euro? L’Agenzia delle entrate non ha dati generali: non c’è un codice che identifichi colf e badanti e dunque queste si confondono con gli altri lavoratori dipendenti. Ma Panorama ha interpellato in proposito diversi caf. Le risposte sono risultate abbastanza omogenee: da un quarto a un terzo di coloro che versano contributi all’Inps per i contratti di lavoro più consistenti arrivano a versare le imposte.