Cinquecentomila senza lavoro, settecentomila costretti a precariato o part time. E il 46% pensa di dover ripartire. La ricerca
Roma -2 ottobre 2013 – Sono oltre un milione e duecentomila i lavoratori immigrati vittime della dalla crisi economica e la paura che la situazione non migliori fa valutare a uno su due la possibilità di mettersi di nuovo in viaggio.
Lo dice la ricerca “Qualità del lavoro e impatto della crisi tra i lavoratori immigrati” promosso dall'Associazione Trentin-Isf-Ires e dalla Cgil Nazionale e presentata oggi a Roma.
Gli autori hanno contato quanti non hanno un posto di lavoro, parcheggiati nella cosiddetta “area della sofferenza”, e quanti sono costretti a un lavoro precario o part time, l’”area del disagio occupazionale”. Poi hanno intervistato oltre mille migranti in dieci Regioni per indagare gli effetti della crisi, sia sul piano lavorativo che su quello legato alla vita sociale e ai processi d’integrazione.
Area sofferenza e disagio occupazionale dei lavoratori immigrati
I lavoratori immigrati rappresentano il 10,2% del totale degli occupati e si concentrano soprattutto in alcuni settori, come i servizi collettivi e alla persona (37,4%) e le costruzioni (18,9%).
Tra il 2011 e il 2012 il loro tasso di occupazione è diminuito del -1,7%, il tasso di attività è rimasto sostanzialmente invariato, mentre quello di disoccupazione è aumentato del +2%, passando dal 12,1% del 2011 al 14,1% del 2012. Gli immigrati in 'sofferenza' (disoccupati, scoraggiati disponibili e cassintegrati) sono oltre 527 mila (13,7%) e gli italiani quasi 3 milioni e 800 mila (10,6%). Rispetto al 2011 i primi sono cresciuti di 101 mila unità (con una variazione percentuale del +23,7%) e i secondi di 670 mila (+21,4%).
A questi si aggiungono gli immigrati in età da lavoro in 'disagio' , con un’occupazione a termine perché non hanno trovato un lavoro a tempo indeterminato o part timer involontari. Sono oltre 706 mila (18,4%) e rispetto all’anno precedente sono cresciuti di 90 mila unità (+14,5%.) mentre gli autoctoni che si trovano in queste condizioni sono oltre 3 milioni e 400 mila (9,5%) e sono aumentati di 220 mila unità (+6,9%).
Indagine sugli effetti della crisi per i lavoratori immigrati
L’85% degli intervistati ritiene dice che la crisi ha apportato dei peggioramenti nella condizione lavorativa. Come? Soprattutto con un abbassamento delle retribuzioni (31,5%) e una diminuzione delle giornate di lavoro (25,5%). Intanto, le condizioni di lavoro si fanno più rischiose (19,1%) e gli orari più lunghi (22,2%). Inoltre una parte degli intervistati sente che la crisi sta provocando una più generale perdita dei diritti (12,8%) mentre aumenta il ricorso al lavoro irregolare (12,1%).
Il 94% degli intervistati dice anche che la crisi ha portato dei cambiamenti nel suo modo di vivere, come la riduzione dei consumi (62,3%) e il bisogno di chiedere un prestito (14%). E alla domanda, 'vista la condizione attuale, pensi di dover emigrare ancora?', hanno risposto in maniera affermativa il 45,6%.
Solo il 2,3% degli intervistati ha dichiarato che non è spaventato dalla crisi. In generale la paura più grande è perdere o non trovare lavoro (81%), seguita dal guadagnare meno o rischiare la povertà (23), trovarsi in condizioni di dover lasciare l’Italia (17%), lavorare in condizioni peggiori (16%).
Cgil: “Più disoccupati, più sottopagati e sfruttati, più irregolari”
“Peggiorano sensibilmente nella crisi le condizioni in cui versano i lavoratori migranti” commenta il presidente dell'Associazione Trentin, Fulvio Fammoni. “Questi dati non solo sono gravi e significativi per quanto riguarda la condizione dei migranti ma anche perché in controluce mostrano un sistema produttivo arretrato. Senza contare come questa 'emorragia' incida negativamente sul livello generale dei consumi”.
Secondo Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil, la ricerca “mette il dito in una delle piaghe della condizione sociale nel nostro Paese. I lavoratori e le lavoratrici migranti pagano gli effetti della crisi in maniera pesante: sono più disoccupati, più sottopagati e sfruttati, più irregolari”.
Per uscire da questa situazione, giunge la sindacalista, servono “politiche generali che affrontino davvero il tema del lavoro e dell'occupazione” e “una riflessione generale su come intervenire anche dal punto di vista normativo per impedire che cresca ulteriormente il campo dell'economia sommersa e che gli effetti della crisi ci consegnino un paese privo di ogni speranza di futuro positivo”.