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Di Liegro (Lazio): “Promuoviamo inclusione e convivenza”

L’assessore alle politiche sociali: “Il Paese è multietnico, investiamo su donne e seconde generazioni”

Roma – 19 novembre 2009 – “La cosiddetta legge Bossi-Fini è nata nel periodo dopo 11 di settembre 2001 in un clima generale di paura e diffidenza nei confronti del diverso. L’idea dello scontro di civiltà certamente non aveva aiutato la convivenza tra immigrati e indigeni. Infatti, paura e insicurezza sono gli elementi che hanno condizionato il legislatore in quel periodo”.

Per Luigina Di Liegro, assessore alle politiche sociali e alle sicurezze della Regione Lazio, la Bossi-Fini ha un “vizio di fondo”, “comporta un approccio difensivo che di fatto ha creato una precarietà dello status giuridico dell’immigrato nel nostro ordinamento”.


“Basta pensare – suggerisce l’assessore – all’introduzione del contratto di soggiorno e l’esposizione al rischio di espulsione per qualunque lavoratore in situazione di disoccupazione. Non importa se ha lavorato e versato contributi per anni basta perdere il posto e non esser fortunato di trovarne un altro in 6 mesi per essere espulso. Questa norma è figlia di una visione dell’immigrato come minaccia da cui difendersi”.

Attualmente c’è un dibattito tra le forze politiche sulla cittadinanza. Cosa pensa debba caratterizzare una nuova legge?
Parto da me stessa e della mia esperienza. La mia famiglia emigrò negli Stati Uniti quando ero bambina. Sono cresciuto come cittadina americana perché mi è stata data la possibilità di acquisire tutti i diritti di cittadinanza. E ho un sentimento di “amore” e lealtà con il paese che mi ha adottata. Perciò la mia idea è che se ad un immigrato gli si dà la possibilità di essere cittadino del paese che l’accoglie ne condivide il destino. Dunque penso che le norme sulla cittadinanza debbano essere riviste a cominciare dal passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli.

La società italiana sta cambiando…
Certo, e la popolazione non è più mono-etnica. Ogni anno nascono tanti bambini italiani da genitori stranieri e vanno riconosciuti come parte della nostra società. Non fosse altro per compensare il deficit di natalità delle coppie italiane e l’invecchiamento della popolazione. A mio avviso è sensato pensare da una parte che chi nasce in Italia e ci fa tutto il ciclo elementare debba essere considerato italiano. Poi va data la possibilità a chi vive e lavora nel nostro paese di poter essere naturalizzato dopo un certo numero di anni di residenza. Sul numero di anni congruo per concedere la cittadinanza non ne faccio motivo di guerra ideologica basta che si acquisisce il principio della naturalizzazione.

In Italia gli immigrati non possono votare. Qual’è la sua opinione al riguardo?
E’ importante riconoscere anche i diritti politici e dunque il voto. Poi c’è un principio della democrazia rappresentativa per cui “there is non taxation without representation”. E’ giusto che chi paga le tasse possa decidere chi amministra la cosa pubblica. Anche qui si discute da anni senza mai risolvere la questione. I grandi paesi europei hanno legiferato sul diritto di voto ma l’Italia, pur avendo ratificato la Direttiva europea sulla partecipazione ha omesso di ratificare il capitolo C che riguarda appunto il diritto all’elettorato attivo e passivo alle elezioni amministrative.
 
Secondo Lei come si potrebbe coinvolgere attivamente gli immigrati, in particolare le donne nell’impegno politico?
Come ho detto prima la partecipazione politica è importante. Certo da donna mi piace molto l’idea di un’integrazione al femminile. Le donne sono una chiave di volta del processo di integrazione. Poi in Italia più della metà dell’immigrazione è al femminile e dunque le donne sono una risorsa fondamentale. La politica deve, a mio avviso, investire di più per queste persone. Vale anche per i partiti politici che devono aprirsi per creare anche una classe dirigente di origine straniera. I partiti devono sempre di più assomigliare alla realtà sociale che è sempre più multietnica e multiculturale. Servono azioni di discriminazione positive.

Recentemente il Governo ha deciso una regolarizzazione di colf e badanti, pensi sia stata la cosa giusta da fare?
Pur apprezzando lo sforzo fatto credo che non sia sufficiente limitarla al solo settore del lavoro domestico e di cura. A mio avviso bisogna allargare la regolarizzazione anche ad altri lavoratori così da poter aggredire le sacche di sommerse e economie illegali presenti nel nostro paese. Comunque una scelta di emersione del lavoro sommerso è nell’interesse del paese. Per me l’importante è garantire percorsi di legalità. E poi una regolarizzazione consente sempre di dare qualche entrata in termini di gettito contributivo il che non guasta.

Cosa pensa dovrebbe essere fatto per l’integrazione degli immigrati?
Integrazione è una parola ormai abusata che rischia di non dire cose precise. In ogni caso serve una politica che promuova l’inclusione sociale e la convivenza civile. Servono norme che garantiscono certezza dei diritti e dei doveri nell’ambito di un nuovo patto di cittadinanza. Dall’apprendimento della lingua all’istruzione, dal lavoro alla formazione e alle politiche abitative sono tutti elementi che vanno attivati. Occorre investire anche sulle seconde generazioni di immigrati e sulle donne.

Con l’attuale situazione di crisi molti immigrati stanno perdendo il posto di lavoro. E la norma sul “contratto di soggiorno” rischia di favorire un ritorno alla clandestinità se non trovano un lavoro entro 6 mesi. Cosa pensa dovrebbe fare il governo per evitare una eventuale emergenza di ritorno all’irregolarità di molti lavoratori?
Purtroppo per gli immigrati la crisi non produce solo disoccupazione ma con la legislazione in vigore si rischia anche di perdere il permesso di soggiorno come ho detto prima riferendomi al contratto di soggiorno che è una delle norme che creano precarietà e rendono vulnerabili i lavoratori immigrati. Il ritorno nell’irregolarità contraddice l’esigenza di un percorso virtuale di legalità e di sicurezza. Perciò bisogna rivedere la norma sul contratto di soggiorno.

L’Italia recentemente ha adottato una politica dei respingimenti nelle acque internazionali dei barconi in base all’accordo con la Libia. Come ha rilevato L’Alto Commissariato per i Rifugiati in quei barconi ci sono anche dei richiedenti asilo o persone bisognose di protezione internazionale. Cosa si può fare per contrastare questa pratica criticata anche dalla CEI? 

La pressione migratoria sulle nostre coste è forte, l’Europea non ci deve lasciare soli e deve collaborare. Detto questo credo che la politica dei respingimenti non sia la soluzione. Abbandonare al loro destino uomini, donne e bambini affamati, assetati e ammassati sui barconi della speranza è una sconfitta per la tutela della dignità umana. Per me i diritti umani non sono negoziabili. Spero che il Governo trovi soluzione che contemplino questo dato fondamentale della nostra Civiltà.

Stephen Ogongo

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