Le domande, sempre per via telematica, potranno essere invece inviate dall’1 febbraio
La quota da ripartire tra le regioni e le province autonome a cura del ministero della Solidarietà sociale riguarda: i lavoratori subordinati stagionali non comunitari di Serbia, Montenegro, Bosnia-Herzegovina, ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, Croazia, India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka e Ucraina; i lavoratori subordinati stagionali non comunitari di Tunisia, Albania, Marocco, Moldavia ed Egitto, Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria; i cittadini stranieri non comunitari titolari di permesso di soggiorno per lavoro subordinato stagionale negli anni 2005, 2006 o 2007.
La quota maggiore di lavoratori stagionali spetterà alla Campania (9.500), seguita da Lazio (7.500), Emilia Romagna (7.000), Puglia e Veneto (6.500), Calabria (6.400).
In molte regioni, informa la Coldiretti, che lo scorso anno è stata l’associazione che ha presentato il maggior numero di domande, la maggioranza di questi lavoratori troverà occupazione in agricoltura che, insieme al turismo e all’edilizia, è il settore che offre loro le più rilevanti opportunità occupazionali.
Con il 13% di stranieri sul totale dei lavoratori agricoli è nelle campagne che la presenza di immigrati evidenzia infatti un’incidenza tra le più elevate dei diversi settori economici, secondo il XVI Rapporto Caritas/Migrantes sull’immigrazione. I lavoratori stranieri presenti nelle campagne italiane appartengono a 155 diverse nazionalità anche se a trasferirsi in Italia per lavorare in agricoltura – sostiene la Coldiretti – sono principalmente nell’ordine i polacchi (16%), i rumeni (15%), gli albanesi (11%) e gli indiani (7%). Questi ultimi trovano occupazione soprattutto negli allevamenti del nord per l’abilità e la cura che garantiscono alle mucche.
Sono molti i distretti agricoli dove i lavoratori immigrati sono diventati indispensabili come nel caso della raccolta delle fragole nel Veronese, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva in Piemonte, del tabacco in Umbria e Toscana o del pomodoro in Puglia. Si tratta di un evidente dimostrazione che, conclude l’associazione, "gli immigrati occupati regolarmente in agricoltura contribuiscono in modo strutturale e determinante all’economia agricola del Paese e rappresentano una componente indispensabile per garantire i primati del made in Italy alimentare nel mondo".