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Tettamanzi: “I media devono ascoltare gli stranieri”

"Il sensazionalismo, i toni forzati, le contrapposizioni creano le condizioni per giudizi approssimativi nei confronti dei gruppi etnici, che fanno nascere ‘etichette’".

MILANO, 28 gennaio –  La parola, cioé il raccontare a tambur battente le cose che accadono con la velocità richiesta da un’era globalizzata. E il silenzio, il momento della riflessione e dell’approfondimento per scrivere in maniera affidabile e senza superficialità.

E’ su questo tema, annoso per i media, che si sono confrontati nel fine settimana scorso da una parte un alto rappresentante della Chiesa, l’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, e dall’altra un giornalista di lungo corso, Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera. L’occasione è stato un incontro al centro Ambrosianeum intitolato, significativamente, ‘Immigrati in prima pagina. Parole abusate, parole dimenticate’ al quale hanno preso parte molti rappresentanti della stampa tra i relatori e il pubblico.

Il termine che si è sentito di più è stato quello di ‘complessita” del fenomeno migratorio. E il cardinale ha voluto sottolineare: "Si sa che i media hanno, tra le altre, l’esigenza, comprensibile, legittima e a volte necessaria, della semplificazione. Ma a volte questo può portare a schemi rigidi e precostituiti che si impongono e finiscono per dare un’immagine riduttiva, se non persino distorta della realtà.

Il sensazionalismo, i toni forzati, le contrapposizioni creano le condizioni per giudizi approssimativi nei confronti dei gruppi etnici, che fanno nascere ‘etichette’". "Dico una cosa che può sembrare banale nella sua semplicità: gli immigrati sono persone e non dobbiamo dimenticarcene mai", ha proseguito Tettamanzi. Che poi poi ha esortato i giornalisti: "Siamo tutti molto pronti a parlare di immigrati, ma dobbiamo avere una saggezza più grande e un coraggio più energico nell’ ascoltarli. Gli immigrati devono avere la possibilità concreta di esprimersi e raccontarsi. Di far vedere i loro bisogni materiali, ma anche quelli più profondi, culturali, di istruzione, di partecipazione alla vita della città che non li veda ai margini, ma come soggetti attivi".

Mieli, che ha condiviso le parole del suo interlocutore, ha osservato che "i titoli dei giornali in cui si parla di rom, zingari e marocchini quando ci si occupa di cronaca ‘nera’, che si fanno per questioni di spazio, ci appaiono oggi sempre meno innocenti; io, cattolico di origine ebraica, inorridirei se vedessi un titolo in cui si dice ‘ebreo accoltella…’". "C’é sicuramente più sensibilità e attenzione rispetto al passato – ha proseguito il direttore – e lo dimostra il fatto che sui giornali si parla di più di immigrazione in tema di politica, cioé su come affrontare il fenomeno, rispetto a occuparsene per questioni di criminalità".

"Io credo – ha concluso Mieli – che in futuro sopravviverà quella informazione che arriva per seconda o per terza e cioé che preferisce l’approfondimento rispetto alla tempestività". L’arcivescovo e il giornalista hanno concordato anche sul fatto che "l’integrazione si può ottenere col dialogo e con il rispetto delle culture e delle diversità senza imporre modi di pensare e di vivere". "Diversità e unità devono essere compresenti – ha concluso Tettamanzi -. Non dobbiamo mai essere smemorati della nostra storia".

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