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Integrare gli immigrati, Fini ormai oltre la vecchia destra

di SERGIO TALAMO

Roma – 17 ottobre 2008 – Un’Italia orgogliosa delle sue tradizioni ma non ripiegata su un’identità chiusa. Una via italiana all’integrazione che elimini ogni discriminazione diventando così una ricchezza “anche per chi integra”. La massima severità non solo verso lo straniero che delinque ma anche verso i nostri connazionali che in modo illegale ed immorale sfruttano chi arriva nel nostro paese per bisogno.

A parlare questo linguaggio non è qualche associazione di volontariato o un salotto di anime belle ma il presidente della Camera Gianfranco Fini. A parte il ruolo istituzionale, Fini è ancora il leader di una destra ritenuta da molti (tra cui numerosi militanti e dirigenti) identitaria, nazionalista ed anche nostalgica. Esattamente il contrario delle posizioni di Fini.

Evoluzione ideologica e culturale? Voglia di andare oltre le vecchie appartenenze? Forse anche questo, ma non solo. Il capo di An sembra essersi convinto che la politica del 2000 non è più composta di modelli generali e astratti (sinistra, destra, centro, moderati e progressisti, popolari e conservatori, socialisti e comunisti) ma di concrete e pragmatiche proposte di governo e di convivenza civile. Agli elettori europei interessa intravedere nel leader e nello schieramento un’idea moderna e praticabile di gestione dei problemi dell’oggi: portafoglio, lavoro, sicurezza, ambiente, servizi. E se possibile ottenere uno “sconto” sulle tasse che occorrono per finanziare il programma politico promesso.

Per molti questa tendenza rappresenta un impoverimento rispetto allo scenario politico di una volta, fatto dei grandi partiti ideologici e delle loro altissime parole d’ordine. Non manca chi vede il cedimento alla micidiale “comunicazione” che avrebbe reso schiava la politica. In realtà è solo un adeguamento ai tempi: se la società è complessa, multiforme, inafferrabile (addirittura “liquida” secondo il sociologo Zygmunt Bauman), le risposte politiche non possono più essere rigide e dogmatiche. E non è neppure vero che pragmatismo significhi rinuncia ai valori. Quest’antica polemica, che già 25 anni fa si dovette sorbire Bettino Craxi, va capovolta: è molto più morale proporre al cittadino soluzioni che astrazioni, obiettivi realizzabili che utopie.

Nella “società possibile” del nostro futuro, i non-italiani sono destinati ad esserci. Prima che inumana, la xenofobia è sciocca e inutile. Gli immigrati non sono buoni o cattivi: sono come noi li vogliamo. Sta a noi decidere se formare “nuovi italiani” o agglomerati sociali che all’Italia sono strutturalmente estranei e dell’Italia potenzialmente nemici.

Fini ha da tempo compreso che l’immigrazione non è un fenomeno solo sociale né tantomeno un pezzo dell’ordine pubblico. Questa visione appartiene alla propaganda. L’esodo verso i paesi ricchi non è un’opzione di questo o quel governo ma un tratto della nostra epoca. Questa gente è già oggi una popolazione di 4 milioni di persone, che produce il 6 per cento del Pil, è più giovane e mediamente più colta degli italiani, fornisce le braccia e potenzialmente anche i “cervelli” ad un’economia poco competitiva come la nostra. Altro che la “bomba atomica sociale” di cui parla Roberto Calderoli. E’ gente che serve all’Italia, perché l’arricchisce con il fisco, l’aiuta svolgendo lavori poco graditi (badanti, operai, raccoglitori di pomodori ma anche infermieri e tecnici), la ringiovanisce con la sua voglia di sacrificarsi e di fare figli. E’ gente che si guarda attorno e che, quando può scegliere, decide di vivere soprattutto al Nord: magari potrebbe anche votare per Calderoli, se costui leggesse le cifre prima di parlare…

Per queste ragioni Fini apre costantemente nuovi fronti. In particolare, due: la politica dei flussi e il diritto al voto. Su entrambi questi temi la linea di Fini ha un tratto comune: realismo. “La politica dei flussi deve essere più realistica”, dice, cioè non fingere che i posti disponibili siano 100 quando le domande sono 1000 e coloro che già lavorano stabilmente in Italia 3mila. E concedere il diritto di voto agli immigrati “non è un’ipotesi sciagurata” né un’idea “criminale”, se gli stranieri dimostrano di “adempiere a certi doveri come avere un lavoro, un domicilio, rispettare le leggi e pagare le tasse”. Un’apertura che sa tanto di buon senso, eppure ha creato attorno a Fini il gelo dei “colonnelli” di An,  pigramente adagiati sull’immagine dell’extracomunitario-mina vagante, per lo più fanatico e fissato con la religione. Se mai è il contrario: secondo le costanti denunce della deputata “finiana” Souad Sbai, a subire gli effetti della violenza religiosa dei fanatici sono le tante donne immigrate costrette a vivere in Italia in condizioni peggiori che nel loro paese d’origine.

La prossima mossa è la legge sulla cittadinanza, cui sono interessati circa 600mila minori figli di stranieri e 450mila adulti. Sul piatto c’è lo "ius soli": i figli di stranieri nati in Italia vogliono essere italiani, mentre oggi devono attendere la maggiore età. Inoltre chi vive e lavora in Italia chiede di diventare cittadino in tempi più rapidi rispetto ad oggi (da 12-13 anni a 6-7 anni).


Anche su questo punto è possibile che Fini lasci alla vecchia destra la crociata sull’“Italia agli italiani” e lo slogan “Dio, patria e famiglia”. Del resto, Dio è senz’altro per l’incontro fra i popoli, di famiglie ne fanno più i nuovi italiani che noi, e in quanto alla patria… sono molto più patrioti quelli che in Italia hanno trovato l’America rispetto a quelli che vi hanno trovato tutt’al più i genitori.

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