Roma, 28 settembre 2018 – Una serie di personalità dell’emigrazione italiana, emigrati o figli di emigranti attivi nei settori sociali, culturali e accademici in Belgio, Francia e nei Paesi Bassi, ha scritto una lettera aperta per criticare l’assenza di prospettiva storica delle posizioni del ministro degli interni Salvini sull’emigrazione. Il testo – “La politica migratoria italiana: trarre gli insegnamenti dal passato è indispensabile” – ha come primi firmatari Marco Martiniello (professore di sociologia all’ULG) e Andrea Rea (preside della facoltà di Filosofia e Scienze Sociali all’ULB) ed è stato pubblicato sul sito della Filef. Durante un incontro europeo, venerdì 14 settembre, il ministro degli interni italiano Salvini e il ministro degli affari esteri lussemburghese Asselborn hanno avuto un violento alterco, che denota il clima acceso sull’immigrazione in Europa. Mentre il ministro lussemburghese parlava della necessità di gestire l’immigrazione per contrastare la crisi demografica in Europa, il ministro Salvini ha risposto che lui è pagato per fare in modo che i giovani italiani ricomincino a fare figli e non per far arrivare nuovi schiavi africani creando una sostituzione di popoli in Italia e in Europa. In qualità di cittadini italiani residenti all’estero, emigrati o figli di emigranti italiani, possiamo solamente rimanere scioccati dall’assenza totale di prospettiva storica della dichiarazione del ministro Salvini. Il ministro Lussemburghese ha avuto pienamente ragione nel ricordare al ministro italiano la storia della migrazione italiana, utile per capire i flussi migratori contemporanei, nonostante essi siano di natura diversa. Tra il 1946 e il 1960, l’Italia ha preso contatti con diversi paesi europei, per esportare italiani disoccupati, poveri e senza futuro, del nord e del sud Italia. L’Italia ha firmato convenzioni bilaterali per l’esportazione di manodopera con il Belgio (1946), con la Francia (1947), con i Paesi Bassi (1948), con la Germania (1955), con il Lussemburgo (1957), e con la Svizzera (1964). Prima della creazione dell’Unione Europea, più di un milione di italiani, spesso con le loro famiglie al seguito, sono stati costretti a lasciare l’Italia. Questi italiani sono stati di fatto costretti all’esilio. L’Italia ha dunque esportato la sua miseria per assicurare il suo sviluppo economico negli anni ’60. L’Italia ha esportato parte della sua gioventù per permettere ad un’altra parte della sua gioventù di trovare un impiego in Italia. In Belgio, nei Paesi Bassi, in Lussemburgo, in Germania, In Francia e in Svizzera, i migranti Italiani si sono stati confrontati con il razzismo quotidiano, alla discriminazione nella ricerca di un’abitazione, nell’accesso alle associazioni, nei bar. In Belgio, negli anni ’50, l’ingresso ad alcuni bar era addirittura vietato ai cani e agli italiani! Questi migranti italiani sono stati trattati come pericolosi criminali da rimandare a casa loro. Erano stigmatizzati perché “rubavano” le donne locali. Si diceva di loro che venivano a rubare il lavoro ai lavoratori nazionali. Erano accusati di approfittare della previdenza sociale. Ricordiamoci della canzone degli anni ’60 “à la moutouelle”. L’Italia li ha dimenticati e non si è mai preoccupata di loro. Ma questi migranti hanno contribuito alla crescita economica dei paesi che li hanno accolti, ma anche a quella del paese di origine, l’Italia. Sono inoltre stati utili per la crescita demografica dei paesi che li hanno accolti. Gli argomenti usati oggi dal ministro Salvini sono esattamente gli stessi usati contro gli emigranti italiani durante dopoguerra. Discriminazione, razzismo e stigmatizzazione sono stati il destino dei migranti italiani in Europa, come lo erano già stati nel secolo scorso negli Stati Uniti. I “terroni”, italiani del sud emigrati nel nord Italia, sono stati confrontati alle stesse situazioni e agli stessi problemi dei migranti internazionali, ma nel proprio paese, situazione magistralmente illustrata nel bellissimo film di Luchino Visconti “Rocco e i suoi fratelli”. La questione migratoria è molto complessa. Si tratta di una questione globale alla quale non si può fornire una risposta semplicistica. La chiusura totale o l’aperura totale delle frontiere sono entrambe proposte poco realistiche. Converrebbe quindi che il ministro Salvini si informasse sulla storia per comprendere le dinamiche attuali. Affermare che gli italiani devono fare più figli o che i posti di lavoro occupati oggi dai migranti debbano essere destinati ai lavoratori locali non è tollerabile. È opportuno fare un discorso onesto. Che significherebbe dire ai giovani italiani di andare nei campi a raccogliere frutta e verdura al posto dei migranti, di dir loro di occuparsi delle persone malate o anziane o dei loro genitori al posto delle immigrate Filippine o dell’Est, o di accettare lavori precari e svalutati nei ristoranti, nell’ orticultura, negli hotel, nell’assistenza alle famiglie, nell’ edilizia etc. Il ministro Salvini potrebbe fare questo discorso mentre il suo paese sta vivendo, come la maggior parte dei paesi europei, una crisi demografica profonda, che non permetterà di assicurare la sicurezza economica e sociale dei cittadini? Tradotto per Filef Nuova Emigrazione Belgio da C. Caferri Firmatari Alessandro Parente (ULB) Andrea Rea (ULB) Annalisa Casini (UCL) Anne Morelli (ULB) Calogero Conti (UMons) Carmine Casarin Danisa Zapparrata (UCL) Denise Monas Dominique Nocera Elsa Mescoli (ULiège) Federica Infantino (ULB) Finella Nocera Francesco Ragazzi (Leiden University) François Licata Gianluca Bontempi (ULB) Hugues Bersini (ULB) Irene Di Jorio (ULB) Isaline Bergamaschi (ULB) Jacinthe Mazzocchetti (UCL) Joseph Pagano (UMons) Laura Calabrese (ULB) Laura Merla (UCL) Laurent Licata (ULB) Luc Albarello (UCL) Marco Dorigo (ULB) Marco Martiniello (ULiège) Maria Assunta Alu (CASI) Mario Alu Matteo Guagliolo (ULB) Oberdan Leo (ULB) Paola Moreno (ULiège) Pasquale Nardone (ULB) Patrice Cani (UCL) Pietro Lunetto (Filef Nuova Emigrazione Belgio) Roberto Pozzo (CASI) Salvatore Calà (CASI) Silvana Pavone Silvia Lucchini (UCL) Silvia Mostaccio (UCL)
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