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Crescita zero

Da diversi anni in Italia si registra una crescita del Pil lenta. In media, nel periodo compreso tra il 1999 ed il 2004 la nostra economia è cresciuta appena del 1,4% l’anno e i dati più recenti preannunciano per il 2005 un tasso di crescita ancora più basso. Voglio, con questo articolo, mettere in rapporto il trend dell’economia italiana con l’andamento demografico, che ormai può contare solo sull’immigrazione per frenare l’invecchiamento della popolazione e la riduzione della popolazione in età attiva.

Sono più di tre milioni gli stranieri che vivono in Italia. Questa popolazione, come conferma l’ultimo rapporto sulle migrazioni pubblicato dall’ISMU, cresce del 15% ogni anno. Senza voler indulgere nella retorica del declino, si cercherà di dimostrare che, in mancanza dell’apporto dei lavoratori immigrati, la crescita economica del nostro paese è pari o inferiore allo zero.

Preliminari sono alcuni dati. Dall’ultimo censimento Istat, risulta che il 79% degli stranieri in Italia è in età lavorativa. Questa percentuale va però rivista al rialzo, dal momento che il censimento non conta gli immigrati irregolari, che si vanno ad inserire, per la stragrande maggioranza, proprio tra la popolazione in età lavorativa. Sulla base di una stima contenuta, almeno l’82% degli stranieri che vivono nel nostro Paese, quindi 2 milioni e 460mila persone, hanno un’età compresa tra i 15 e i 64 anni.

Secondo i dati che arrivano dagli archivi del Ministero dell’Interno, dell’Inps e dell’ Inail e con una stima di 300mila lavoratori in nero gli stranieri occupati in Italia sono due milioni e trecentomila. Tra gli stranieri, il rapporto tra occupati e persone in età lavorativa è quindi del 93,4%.

Si tratta, per lo più, di braccia e cervelli che contribuiscono in maniera determinante alla formazione del PIL perché, oltre a produrre reddito, pagano i contributi, le tasse, e contribuiscono in maniera significativa alle finanze statali.

Inoltre, gli stranieri consumano.

Secondo una ricerca di Stranieri in Italia, il reddito netto annuo dei lavoratori immigrati è di 27,3 miliardi di euro. Il 21% viene spedito ai familiari rimasti a casa, diventando uno dei più importanti motori per lo sviluppo dei paesi più poveri. I restanti 21,5 miliardi di euro vengono spesi in Italia.

Questo è in linea con l’indicazione di Tito Boeri, secondo il quale i lavoratori stranieri contribuiscono, in maniera diretta ed indiretta, alla formazione del 6% del nostro Pil.

Se in media, nel periodo compreso tra il 1999 ed il 2004 la nostra economia è cresciuta appena del 1,4% l’anno, non è necessaria una sottrazione aritmetica per concludere che, senza il contributo dei lavoratori stranieri, dovremmo dire addio alla modesta crescita economica alla quale siamo abituati.

La seconda conclusione è che, in considerazione dell’andamento demografico nazionale, i lavoratori stranieri costituiscono una risorsa indispensabile per contrastare questo declino. Come ha dimostrato Alberto Alesina, nelle economie sviluppate, dove gli indici di efficienza produttiva sono molto simili, esiste una relazione diretta tra ore lavorate e reddito pro capite. Ne deriva che essendo le circa 16 ore settimanali lavorate dagli italiani minori di molti altri Paesi e, in particolare,degli Stati Uniti che arrivano a lavorare in media 25 ore, l’Italia cresce meno degli altri.

In questa prospettiva e considerando l’invecchiamento della popolazione analizzato da Livi Bacci, l’immigrazione appare il migliore, se non l’unico strumento, per invertire il trend negativo delle ore medie lavorate in Italia, e, di conseguenza, sulla nostra crescita economica, proprio perché rappresenta un’iniezione ricostituente di persone in età lavorativa.

Un immigrato, infatti, lavora in media 27,5 ore a settimana: 11 ore più di un italiano, ma anche 2 in più rispetto ad un americano.

Questo è la conseguenza di una popolazione più giovane e che dispone di uno stock di ricchezza minore degli italiani: nessuna casa di proprietà, nessun risparmio e, soprattutto, nessun patrimonio familiare che, come ampiamente dimostrato, resta un momento portante del sistema di protezione sociale nazionale.

Resta un’ultima conclusione. Siamo di fronte a un fenomeno mondiale di eccesso di offerta di lavoro. Milioni di persone sono pronte a lasciare casa e famiglia per mettersi al servizio delle economie ricche, diventandone uno dei più importanti fattori di sviluppo. Cerchiamo di essere pronti a sfruttarne i talenti e le potenzialità.

Naturalmente non basta aprire semplicemente le porte ai lavoratori stranieri. Per cogliere appieno queste opportunità bisogna gestire l’immigrazione favorendo quella più qualificata, in modo da alzare il tasso di lavoratori specializzati o laureati e non solo cercando di controllare i flussi con politiche spesso miopi ed incerte.

Credere di poter bloccare l’uscita di cervelli dall’Italia è antistorico. E’ molto più realistico compensare questa perdita attirando intelligenze e know how dall’estero, come appunto da sempre accade negli Stati Uniti ed è espressamente previsto dalla legge sull’immigrazione inglese, a seguito dell’allargamento europeo. Perché se non si può assecondare il miraggio di una vita migliore di chiunque vuole venire a produrre nel nostro Paese è bene che si sostenga quello dei più meritevoli.

Per uscire dall’impasse che affligge il nostro sistema produttivo, servono competenze, innovazione e creatività. Elementi che possono trovare un validissimo terreno di coltura in un melting pot, animato da una popolazione diversa, più giovane e motivata, che sia disponibile a pagare il terzo debito pubblico del mondo, sostenendo un’economia a crescita zero.

(13 giugno 2005)

Francesco Costa
Amministratore delegato Angelo Costa Spa

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