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Mare Jonio, inchiesta archiviata: “Salvare vite non è un reato”

Roma, 4 dicembre 2020 – Ieri si è concluso il procedimento penale contro la Mediterranea Saving Humans. L’inchiesta sulla nave Mare Jonio è stata finalmente archiviata. La sentenza è stata disposta dal gip del tribunale di Agrigento, che ha messo la parola fine alle indagini nei confronti di Luca Casarini e Pietro Marrone, il capo missione e il comandante della nave. Entrambi erano indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e “mancato rispetto di un ordine dato da una nave miliare”.

Mare Jonio

Mare Jonio, archiviato il processo

Tramite un provvedimento a firma dell’aggiunto Salvatore Vella e del pm Cecilia Baravelli, era stata la procura stessa a chiedere la chiusura del procedimento, escludendo così i reati a loro carico. I due erano stati inseriti nel registro degli indagati perchè Marrone non rispettò l’alt intimato dalla Gdf durante la traversata con a bordo 49 persone approdate, lo scorso 19 marzo, a Lampedusa. Anche la nave Mare Jonio, in seguito, venne sequestrata.

Tra i 49 immigrati salvati nelle acque del Mediterraneo dalla nave Mare Jonio c’erano uomini e minori non accompagnati. Tutti provenienti da Camerun, Gambia, Guinea, Nigeria, Senegal e Benin. Il capo missione, a differenza del comandante, venne iscritto al registro degli indagati qualche giorno dopo. Il suo nome venne inserito in seguito all’interrogatorio del procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella e del pubblico ministero Cecilia Baravelli. Nel frattempo, Marrone ha pubblicato anche un libro sulla vicenda dal titolo: “Io non spengo nessun motore“. Queste furono esattamente le parole pronunciate dal ponte di comando della nave durante l’intervento. “Le linee, nel mare, non si vedono. Quando le attraversi però lo capisci, senti che ci sono. I confini no, quelli non esistono, sono tutti mentali“, aveva dichiarato il comandante.

Mediterranea: “Hanno agito in modo corretto”

“Non solo avevano provveduto a soccorrere persone in mare salvando le loro vite. Ma avevano anche agito correttamente mettendo in sicurezza i naufraghi e l’equipaggio stesso della Mare Jonio. Questo, nonostante il tentativo, illegittimo e pericoloso, da parte del ministero degli Interni diretto allora da Salvini, di impedire che tutto ciò avvenisse”, ha rivendicato Mediterranea. Quel “non spengo nessun motore” pronunciato dal ponte di comando della nave Mare Jonio, è diventato un gesto simbolico. “Disobbedendo all’intimazione di una nave da guerra, impropriamente utilizzata dal Ministro per affermare la dottrina dei porti chiusi, fu il primo atto di rifiuto verso un’inaccettabile politica fondata sulla violazione sistematica delle Convenzioni internazionali sul soccorso in mare e i diritti umani”, ha aggiunto poi.

Allo stesso modo, la scelta di non consegnare alla cosiddetta Guardia costiera libica le persone soccorse “è definita giusta e legittima nelle motivazioni dell’archiviazione. La Libia non è un porto sicuro. Mentre accogliamo con soddisfazione questa decisione dei giudici di Agrigento, non possiamo non sottolineare come la pratica dei respingimenti di donne, uomini e bambini che scappano dall’inferno libico da parte di autorità europee continui. L’attività criminale dei respingimenti viene effettuata da miliziani libici travestiti da Guardia costiera. E avviene attraverso l’utilizzo di motovedette fornite dall’Italia e grazie al supporto e ai finanziamenti che continuano ad arrivare dal nostro Paese”.

Per questo Mediterranea si chiede: “quando dei giudici metteranno sotto inchiesta il Governo italiano e le Autorità europee per questa complicità? Intanto rimangono ancora sotto inchiesta per aver effettuato altri soccorsi in mare e salvato centinaia di vite, altri tre nostri comandanti e due capimissione. Attendiamo con fiducia che anche in questi casi prevalga la verità e il coraggio dei magistrati nell’affermare che chi salva una vita non è un criminale“.

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