Nel documentario “Mare chiuso” le testimonianze di eritrei e somali che fuggivano dalla guerra e sono stati consegnati agli aguzzini di Gheddafi. “Stavamo andando verso un Paese migliore”
Roma – 14 marzo 2012 – A partire dal maggio 2009, circa 2000 migranti sono stati intercettati nel Mar Mediterraneo dalle navi italiane e respinti in Libia. La maggior parte di questi erano richiedenti asilo provenienti da Paesi in guerra, che invece di vedersi riconosciuta dal nostro Paese la protezione alla quale avevano diritto sono stati messi in mano agli aguzzini di Gheddafi, rinchiusi in condizioni disumane nei centri di detenzione del Paese Nordafricano.
Le atrocità dei respingimenti hanno avuto l’ennesima conferma qualche settimana fa, quando la Corte di Straburgo ha condannato l’Italia per aver violato i diritti fondamentali delle persone riportate in Libia. Ora “Mare chiuso”, un documentario di Stefano Liberti e Andrea Segre dà voce alle vittime di quell’ingiustizia, ricostruendo l’odissea di un gruppo di eritrei e somali, anche attraverso il filmato girato con un telefonino a bordo del loro barcone.
Quando furono intercettati dai militari italiani, i migranti li supplicarono di non rimandarli in Libia. “Ci state gettando nelle mani degli assassini …dei mangiatori di uomini”, ma il loro destino non cambiò. “Era domenica quando ci hanno riportato a Tripoli, I libici ci hanno portati via con dei camion container e poi nel carcere di Khasr El Bashir. Ci hanno bastonato. Ci hanno picchiati. Ci hanno rinchiusi”.