Nel monologo a “Che Tempo che fa”, lo scrittore racconta la storia di Yvan Sagnet, che organizzò la protesta dei braccianti in Salento. E il giovane camerunense chiede una riforma della cittadinanza per le seconde generazioni
Roma – 6 novembre 2012 – “Gli immigrati arrivano in Italia non solo a fare un lavoro che gli italiani non vogliono più fare, ma anche a difendere diritti che gli italiani non vogliono più difendere”.
È un passaggio della riflessione proposta ieri sera da Roberto Saviano agli spettatori di “Che Tempo che fa del lunedì”. Un monologo dedicato agli immigrati sfruttati nei campi e al giovane di origine camerunense Yvan Sagnet.
Studente di ingegneria al Politecnico di Torino, nell’estate del 2011 Sagnet andò a lavorare come bracciante a Nardò, in provincia di Lecce e lì organizzò uno scioperò dei lavoratori africani per chiedere paghe più alte rispetto a quelle imposte dai caporali. Quella protesta portò all’istituzione del reato di caporalato in Italia.
“La cittadinanza è qualcosa che va oltre il perimetro legale una persona che porta quei diritti, che trasforma il Paese… questo rende cittadino una persona. Yvan si sta battendo per un’Italia migliore” ha commentato Saviano , proponendo il giovane come sindaco di Castelvolturno, dove il consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni camorristiche. “Servirebbe un sindaco per tutelare i diritti, un sindaco proprio come lui”.
Sul palco è salito poi lo stesso Sagnet, che ha ricordato come lo sfruttamento e il caporalato siano problemi nazionali. “Tre prodotti su cinque che finiscono sulle nostre tavole provengono dalla riduzione in schiavitù dei braccianti stranieri” ha ricordato, chiedendo più controlli, collocamento pubblico per incontro tra domanda e offerta, utilizzo dei beni confiscati alle mafie per alloggiare i lavoratori. Poi ha definito disumano il legame tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno.
Sagnet ha concluso con un appello per una riforma della cittadinanza aperta alle seconde generazioni. “Ho un sogno, vorrei che un bambino nato in Italia da genitori stranieri, che cresce in Italia, che frequenta la scuole italiane, si sentisse e fosse riconosciuto pienamente cittadino italiano”.