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Cittadinanza negata. “Che colpa abbiamo noi?”

Lettera aperta di Monnalisa Ndoja a cui non le è stata concessa la cittadinanza: “Sono nata e cresciuta in Italia, ma non 'cittadina di diritto' perché la mia iscrizione
anagrafica è avvenuta in ritardo”

Roma – 15 marzo 2013 – Quella che segue è la lettera aperta di Monnalisa Ndoja, una giovane di origine albanese, nata e cresciuta a Monteriggioni, in provincia di Siena. Come previsto dalla legge, al compimento della maggiore età, la giovane ha chiesto al suo Comune di diventare cittadina italiana, ma la sua domanda non è stata ancora accolta perché pur avendo soggiornato legalmente in Italia ininterrottamente dalla nascita, la sua iscrizione anagrafica è avvenuta in ritardo.

Anche il Ministero dell’Interno ha rifiutato la domanda di Monnalisa. Lo stesso Ministero che nel 2007 ha deliberato la Circolare n K. 64.2/13, invitando gli ufficiali dello stato civile a valutare con elasticità il requisito della residenza ininterrotta, stabilendo che in caso di interruzione della residenza legale o di ritardo nella registrazione anagrafica debbano essere valutati, quali prove della permanenza sul territorio italiano anche certificati medici (es. certificati di vaccinazioni, o di prestazioni sanitarie),
certificati scolastici o altra documentazione simile.

Samia Oursana

***

Mi chiamo Monnalisa, e sono una ragazza di origine albanese, nata in Italia nel 1994. Il 3 giugno del 2012 ho compiuto 18 anni ed ho presentato al Comune di Monteriggioni, dove risiedo, la dichiarazione di acquisizione della cittadinanza italiana.

La dichiarazione non è stata ancora accolta per il fatto che, benché io abbia soggiornato legalmente in Italia ininterrottamente dalla nascita, la mia iscrizione anagrafica e' avvenuta in ritardo.

Il mio Sindaco ha inviato una lettera, nonché tutta la documentazione (permessi di soggiorno, libretto vaccinazione,iscrizione sanitaria, ricevute di affitto ecc) a dimostrazione della continuità del mio soggiorno legale. Per il momento, il Ministero si è espresso negativamente, sebbene risulti provata di fatto la ininterrotta presenza mia nel territorio italiano, in quanto, nessuno dei miei genitori era iscritto all'anagrafe al momento della mia nascita.

Mi sento una condannata, per un reato che non ho commesso, per colpa di una legge ingiusta, e vi spiego anche perché.
Art. 1 co. 2 lettera a) DPR 572/1993 stabilisce che
2. Ai fini dell'acquisto della cittadinanza italiana:
a. si considera legalmente residente nel territorio dello stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d'iscrizione anagrafica;

L'iscrizione anagrafica avvenne tardivamente perché mia madre, se la vide rifiutare, prima ancora della mia nascita, sulla base del fatto che il permesso di soggiorno per studio (di cui mia madre era titolare all'epoca) non consentiva l'iscrizione anagrafica. Tale motivazione, comunicata a mia madre – secondo una prassi diffusa, quanto deprecabile – solo verbalmente, era già al tempo del tutto priva di fondamento giuridico, dato che art. 6 co. 1 della Legge 39/1990 stabiliva:
1. Gli stranieri in possesso di permesso di soggiorno hanno diritto all'iscrizione anagrafica presso il comune di residenza secondo le norme in vigore per i cittadini italiani.
In questa situazione, appare evidente come mia madre e, a maggior ragione, io stessa abbiamo "soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d'iscrizione anagrafica" e che il requisito di residenza legale ininterrotta dalla nascita fino al compimento dei 18 anni sia quindi da me soddisfatto, non potendo rilevare a tal fine il mancato adempimento da parte di terzi (in questo caso, chi allora agiva come ufficiale d'anagrafe del Comune di residenza di mia madre).

Una recente sentenza della Corte d'Appello di Napoli, sostiene che non possono imputarsi al minore gli inadempimenti dei genitori, rilevando solo, quindi, la residenza di fatto. Meno che mai, sulla base di questo orientamento, il diritto del neo-diciottenne dovrebbe essere sterilizzato da inadempimenti dell'amministrazione.

Questo orientamento appare perfettamente compatibile con il tenore letterale della disposizione di cui all'art. 1 comma 2 lettera a) del DPR 572/1993, dal momento che, trattandosi di un diritto soggettivo della persona (l'acquisto della cittadinanza iure soli), le condizioni che lo integrano non possono che riguardare dati e comportamenti del neo-diciottenne richiedente.

In altri termini, anche prescindendo dal fatto che nel caso che mi riguarda l'iscrizione anagrafica di mia madre è stata a suo tempo illegittimamente rifiutata, non esiste alcun adempimento in materia anagrafica al quale il minorenne sia tenuto, spettando a chi esercita la patria potestà di rendere le dichiarazioni anagrafiche di cui all'articolo 13 DPR 223/1989. Non si può quindi ritenere inadempiente il neo-diciottenne in relazione ad obblighi che non gli spettavano.

Nella mia situazione si trovano migliaia di ragazzi, che aspirano al riconoscimento della cittadinanza italiana, ma che non possono ottenerlo perché i loro genitori, per vari motivi, non hanno potuto perfezionare, a tempo debito, l'iscrizione anagrafica, pur vivendo legalmente in Italia, lavorando in Italia, pagando le tasse in Italia.

In attesa di una riforma legislativa, che richiederà comunque tempi lunghi, chiedo con questa lettera al Ministro dell’interno, di dare istruzioni, con una circolare, perché
venga riconosciuto il nostro essere italiani, non solo di fatto, ma di diritto.

Cordiali Saluti
Monnalisa Ndoja

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