“L’Africa non è soltanto fame e guerra. E gli italiani hanno qualcosa da imparare da noi”. Intervista al griot senegalese
Roma – 15 luglio 2011 – Il grande griot senegalese Badara Seck è uno dei più validi esponenti e promotori della musica africana in Italia. Il suo ultimo album, Farafrique, esprime sin dal titolo la volontà di esprimere l’esperienza di vita che ha portatole sue radici tradizionali a confrontarsi con la sua nuova condizione di migrante nella società italiana. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui.
Quali sono il senso e le ragioni del titolo del Cd: «Farafrique»?
Il titolo «Farafrique» non è altro che la combinazione di “Farafina”, che è il nome originale del nostro continente, con “Afrique” che è al contrario il nome datogli dai colonizzatori. La mia idea è dunque quella di recuperare la storia del passato. Purtroppo oggigiorno, si è trasformato l’Africa in una parola appiccicata alla povertà, alla sofferenza. Bisogna cambiare, perché l’Africa ritrovi il piacere di vivere la sua bellezza. L’Africa non è soltanto la fame e la guerra ma esiste anche una bellezza ed è ciò che ho cercato di far vedere nel mio disco. Ho cercato di specchiare la bellezza africana. La gente non ne può più di sentire sempre parlare di povertà e fame.
In quali termini i brani del Cd esprimono questi concetti?
C’è per esempio una canzone che ricorda che la diversità è umana e deve essere rispettata. Ecco perchè anche noi dobbiamo dire la nostra. Siamo noi che dobbiamo fare il destino dell’Africa, e nessun altro.
Nel tuo album, parli anche del sufismo. Quali lezioni trovi in tale disciplina?
Si, è vero, c’è una canzone sul sufismo. Quanta gente in Europa si ammazza o ammazza il proprio compagno o la propria compagna perché non riescono ad affrontare i problemi: la perdita del lavoro, la crisi, etc. Il sufismo ha dato la risposta: si possono prendere a prestito i mezzi utilizzati dai sufisti per porsi al di sopra dei problemi, evitando di arrivare a gesti estremi. Ci si batte per migliorare la propria vita, ma se non si ottengono certe cose, non bisogna ammazzarsi. In Africa, si vivono tutte queste realtà, ma non si arriva a questo punto cruciale. Un africano può vivere per strada per un anno intero o anche più, senza tuttavia mai pensare un solo istante di togliersi la vita o provocare un massacro.
Gli Occidentali devono quindi imparare dagli Africani?
Si tratta in realtà di un dare e ricevere. Abbiamo delle belle cose da insegnare loro ma possiamo anche ricevere altrettante cose belle da loro. Sono gente che ama lavorare ed alzarsi presto la mattina; ecco una delle cose che possiamo per esempio prendere da loro. In Europa, la corsa al consumo fa sì che la gente non ha neanche il tempo per le relazioni umane; tutto il contrario di quanto succede in Africa dove la gente ha l’abitudine di prendersi il proprio tempo; tant’è che per esempio un semplice saluto può durare tanti lunghissimi minuti. L’ideale sarebbe che gli Occidentali lavorassero un pò meno e salutassero un pò di più e che gli Africani, da canto loro, salutassero un pò meno e lavorassero un pò di più.
Vedo che non è stata dimenticato la grande solidarietà africana…
Questo tema è anch’esso presente. I rapporti che abbiamo con i nostri parenti sono importantissimi e vitali per noi. Tanta gente si chiede come mai è possibile che, in questo continente, riusciamo a vivere con la crisi, con le scarse risorse che abbiamo. Semplice ! E’ grazie alla solidarietà. Una mamma può andare a chiedere alla sua vicina una bottiglia d’olio, si non ce l’ha, e vice versa. Con la crisi, ci sono stati molti suicidi in Europa e tanti divorzi e separazioni. Si è persino arrivati ad accusare gli stranieri di essere loro le cause di ciò. Quando ci sono dei problemi, si dovrebbe andare a consultare chi è competente. Gli Europei dovevano andare a consultare gli Africani per chiedere loro come hanno fatto a resistere per secoli alla crisi.
Non manca neanche il tema della donna, vero?
Canto che tutte le donne affermano di essere libere in Europa; dobbiamo certo prendere da loro, ma senza esagerare. Qui la donna bella è quella che ha la vita snella mentre in Africa, una tale donna è bollata come qualcuna che non mangia abbastanza, che ha fame.
C’è qualche altro argomento che hai affrontato dell’album «Farafrique»?
Il disco parla anche dell’equilibrio. Ho cominciato a criticare l’Africa su certe cose. Peccato che non l’abbia fatto in italiano. Ma ci proviamo con Massimo Pagani, il mio produttore italiano, a fare la traduzione in modo da meglio veicolare il messaggio. Ma il fatto è che mi è sinceramente impossibile cantare in italiano, perché sento che ciò ucciderà l’anima dell’opera. Proverò a fare un altro disco oppure un documentario in modo che la gente possa capire le parole delle canzoni.
Qual’è il tuo messaggio agli Africani?
Ho bisogno del sostegno dei miei fratelli africani. Ci dobbiamo sostenere a vicenda altrimenti non arriveremo da nessuna parte, perchè l’unione fa la forza. Quando mi esibisco da qualche parte, come per esempio a Napoli con Massimo Ranieri, ci sono ogni giorno 2500 spettatori, ma raramente si vedono gli africani. Dobbiamo marcare la nostra presenza in questo Paese, operando tutti insieme, gli uni con gli altri.
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M. Kwami & Ndèye F. Seck