Una scrittrice migrante tra fiabe, caffè e avventure misteriose. Come il tragicomico viaggio del ragionier Mantegazza
Roma – 26 maggio 2011 – Tetyana Gordiyenko è arrivata dall’Ucraina in Italia nel 2003. Laureata in Lingue e Letterature straniere a Torino, vive in una splendida valle alpina, dove divide il suo tempo tra il lavoro di traduttrice letteraria, la passione per la scrittura e il suo ruolo di mamma.
Gordiyenko è autrice del libro “I cavalieri di Re Lev e altre fiabe dall’Ucraina” – una raccolta di favole popolari ucraine, scritte in lingua originale con traduzione a fronte; racconta di valorosi fabbri e misteriosi cavalieri dall’armatura d’oro che appaiono nel pieno della notte, giovani contadini e fiori rari dai poteri magici e anche “classiche” mogli chiacchierone e furbissime volpi.
Questi e tanti altri protagonisti affondano le loro radici nelle antiche tradizioni ucraine. La lettura permette a tutti i bambini, figli degli immigrati ucraini o di italiani, di conoscere la letteratura popolare di questo affascinante Paese.
La scrittrice ha partecipato anche al VI Concorso letterario nazionale Lingua Madre, aggiudicandosi il Premio Speciale Slow Food con il racconto chiamato “Tutto sul caffè”. “Prende spunto – dice – da un vecchio libretto che ho portato con me da casa dei miei. Si tratta di una brossura che racconta ‘tutto sul caffè’, la bevanda che accompagna me, come molti altri, nella vita”.
Ai lettori di Stranieriinitalia.it, Tetyana Gordiyenko regala un racconto inedito (lo trovate qui sotto), la divertente e misteriosa avventura di un ragioniere italiano in Ucraina per amore.
Marianna Soronevych
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VIAGGIO DI NOZZE IN UCRAINA INTRAPRESO DAL RAGIONIERE GIACOMINO MANTEGAZZA E DALLA SUA SPOSA LYUDMYLA di Tetyana Gordiyenko
Non fidatevi delle guide Michelin. D’altronde, dove vi può portare la guida su cui è raffigurata una mummia sogghignante?
Il ragioniere Mantegazza sgommava dopo aver passato la frontiera – realtà oramai anacronistica in Europa – tra l’Ungheria e l’Ucraina. Era di buon umore, infatti andava a sposarsi. La sposa gli sedeva accanto, in tutto il suo splendore dei 35 anni portati benissimo. Il pregio più grande di Lyudmyla, la rossa badante della già defunta prozia Carla, era di non assomigliare per niente alle donne che riusciva ad avere accanto a sé il ragionier Mantegazza da tutta una vita: magre e rampanti e tutte quante da dietro uguali uguali a Simona Ventura. Lyudmyla da dietro non assomigliava a nessuno, era unica nel suo genere. Perciò Mantegazza le fece una proposta di matrimonio ed ora andavano a sposarsi in questo misterioso paese che era l’Ucraina. Molti suoi amici lo volevano dissuadere dal matrimonio, e altrettanti gli sconsigliavano il viaggio in macchina, che secondo loro era pieno di pericoli. Ma Mantegazza, innamorato e ringiovanito, non diede ascolto a nessuno.
La strada dopo la frontiera continuava abbastanza regolare e ben tenuta. Dopo poco il BMW giallo del ragioniere saliva su verso le vette dei Carpazi. Prima i paesaggi verdeggianti affascinavano Mantegazza che ammirava le caprette che camminavano scortate da una vecchina sul ciglio della strada, o delle grandi ville costruite interamente in legno. Lyudmyla sorrideva un po’ tesa: più salivano, più si addensava la nebbia. I contadini che camminavano lungo la strada accompagnavano con uno sguardo quasi pieno di commiserazione quella macchina così spensieratamente gialla che sprofondava nel denso nebbione carpatico e scuotevano la testa. Sapevano bene quali segreti custodivano i boschi di pini, impenetrabili e bui.
Ad un certo punto cominciò la discesa e la macchina slittò verso la pianura nel crepuscolo che scendeva. All’ improvviso, come spaventata dalla scritta appena visibile dietro la cortina di goccioline d’acqua sospese nell’aria, che indicava la direzione verso Leopoli, la BMW ebbe uno scossone e continuò ad andare avanti per pochi metri sussultando.
“Che cos’è?” – esclamò Mantegazza frenando bruscamente. Saltò fuori dalla macchina e constatò che il manto stradale era fatto non più di asfalto ma di cemento pieno di crepacci e creste come un mare in burrasca. Quella, secondo le mappe Michelin era l’autostrada Leopoli-Rivne. Mantegazza guardò la sua macchina e la pietà gli strinse il cuore.
– Prendiamo l’altra strada! Sennò mi distruggo l’auto!
L’altra strada era indicata dalla Michelin come una statale e doveva essere decente. Faceva un giro appena più lungo, ma arrivava dritta a Rohatyn, la città natale di Lyudmyla. Appena il Mantegazza girò verso ovest, la nebbia sparì e per un po’ la macchina viaggiò verso il tramonto, tutta scintillante nelle luci dell’ultimo sole. Tutt’attorno c’erano le alte colline e pochi villaggi. Dopo un po’ i villaggi non c’erano più, la strada diventò peggio del cemento mosso di prima, ma ormai era tardi per tornare. Al Mantegazza veniva un terribile nervosismo, la BMW calava e riemergeva balzando sul fondo stradale come una baleniera all’inseguimento di Moby Dick. “Caspita, se si rompe, qua attorno non c’è un’anima viva, figurati una concessionaria BMW!” – pensò il Mantegazza e la consapevolezza di trovarsi in un posto praticamente deserto gli fece venire un brivido. Lyudmyla, di solito così chiacchierona, stava zitta e sembrava spaventata, puntava gli occhi nell’oscurità che ormai copriva le colline come un manto nero. All’improvviso aveva strillato, indicando qualcosa vicino alla strada. Il Mantegazza scorse una fila disordinata di lucine gialle che si muovevano parallelamente alla macchina. Lupi! “Oh, Signore!” – il Mantegazza cominciò a sentirsi come dentro un incubo, un film horror tipo “Dracula di Bram Stocker”, in quel momento anche Lyudmyla gli sembrava una vampiressa, con quel volto pallido e gli occhi luccicanti. Nella luce dei fari potenti il Mantegazza finalmente vide un branco di cani randagi, che non erano lupi, ma il ragioniere avrebbe preferito non dover incrociarli se mai avesse dovuto scendere dalla macchina in quella landa desolata.
Dalla direzione in cui il capobranco aveva guidato i suoi compagni, da una stradina sterrata che si perdeva nei campi di grano turco, si mosse un’ombra grossa e nera. Il Mantegazza, guardando nello specchietto retrovisore, ebbe un sussulto: un’automobile con i fari spenti seguiva la sua lampante BMW a distanza brevissima. Il viso del guidatore era invisibile nelle tenebre, ma il Mantegazza già si figurava una brutta faccia da galera rapata a zero, una giacca di pelle nera e i denti d’oro, si sentiva già assalito, derubato, morto e divorato dai cani che sicuramente erano in congiura con il galeotto. “Ecco dove si avverano i brutti sogni!” pensò il ragioniere. Anche Lyudmyla aveva notato la macchina: la avvisavano i coraggiosi autisti dei minibus che facevano avanti e indietro tra l’Ucraina e l’Italia, pieni di badanti stipate come le sardine in una scatoletta; le dicevano: guarda, che ci sono dei briganti che vedendo le targhe estere inseguono le macchine e quando raggiungono dei luoghi isolati, fanno fermare l’auto, costringono i passeggeri a scendere e li derubano. Lyudmyla, diventata atea grazie al contatto prolungato con l’illuminata Europa, si mise a pregare con un fervore degno di una novizia. La sua improvvisa conversione non fece che aumentare il terrore del Mantegazza. Avvistando una stradina laterale, decise di seminare l’inseguitore. Con un brusco movimento del volante diresse la macchina verso le colline, nel buio in cui non vedeva niente a parte un pezzo di strada sterrata mutilata dal passaggio dei trattori, illuminato dai fari, e quella maledetta auto dei banditi che accelerava quando provava ad accelerare – ed era quasi impossibile, visto che la BMW era incastrata nei solchi profondi – o a curvare, quando scorgeva un’altra stradina che portava sempre nel buio ancora più impenetrabile, sempre più in profondità della Terra Incognita. Ad un certo punto il Mantegazza stava per impazzire. Lyudmyla ormai pregava quasi urlando, sicura che l’inseguivano gli agenti del Maligno intenti a punirla per qualche peccatuccio di gioventù. Al ragioniere sembrava di vedere le rapaci sagome dei cani che inseguivano la BMW a fianco di quell’altra auto. Nella sua mente da contabile però, ha fatto due calcoli e ha capito che i cani non potevano correre a lungo a sessanta chilometri orari. La lucidità ragionieristica schiarì le idee del Mantegazza: nella tasca aveva un coltellino svizzero ed al momento opportuno avrebbe affrontato il galeotto, vendendo cara la sua vita. E chissà, magari avrebbe avuto la meglio, con un po’ di fortuna.
Finalmente avevano visto le luci, poche e fioche, di una cittadina, si precipitarono nel labirinto delle stradine mai rifatte dopo l’ultima invasione dei tartari, la corsa finale disperata per i vicoli nella speranza di sfuggire al destino, ma l’altra auto sembrava fosse diventata l’ombra della BMW. E infine, eccolo, il parcheggio davanti al piccolo hotel. Il Mantegazza e Lyudmyla scendevano dalla macchina per vedere in faccia il loro incubo. Il ragioniere stringeva nella mano il suo coltellino svizzero, Lyudmyla si proteggeva il petto con una croce d’oro di Barron Gioielli. La portiera dell’altra auto si spalancò. Nella semioscurità i due videro una figura avvolta in una specie di mantello svolazzante nella brezza notturna. Un adepto di una setta satanica! La coppia ha invocato il nome di colui di cui il nome non si nomina invano, sintonizzata sulla paura folle. Il personaggio, intanto, entrava nel cerchio di luce sotto un lampione. Era un ometto basso e magro con una barbetta da capro. Cominciò a parlare in quella lingua incomprensibile che era l’ucraino per il Mantegazza. L’ometto sorrideva, ma il Mantegazza osservava Lyudmyla che aveva una faccia prima sbigottita, poi incredula e poi scoppiò in lacrime. Il ragioniere era lì lì per sgozzare il bruto con la lama lunga cinque centimetri. L’inseguitore porse una mano a Lyudmyla e lei la baciò. Il Mantegazza si rifiutò di compiere lo stesso gesto di sottomissione: cosa crede di essere questo delinquente? Un Totò Riina?! Il personaggio aggrottò la fronte, ma se ne andò verso la chiesetta che stava dirimpetto all’hotel.
“Chi è? Cosa ti ha detto?” – interrogava il Mantegazza la sposa che piangeva tra le sue braccia.
“E’ un parroco… ci ringraziava… perché la nostra macchina aveva i fari potenti e lui ci seguiva nel buio… altrimenti non poteva guidare… la sua auto aveva… la batteria scarica!”
Stettero abbracciati ancora a lungo. Lei che piangeva e lui che rideva come un pazzo.