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Immigrati e banche: 1,5 milioni di conti correnti

Ricerca dell’ Abi: “In genere entra in banca chi è già qui da almeno cinque anni”

Roma – 27 settembre 2010 – Nel 2009 il sistema bancario italiano ha intermediato un volume complessivo di rimesse pari a 210,05 milioni, per un totale di 92.020 operazioni effettuate da immigrati. E’ di 1.543 euro inoltre l’ammontare medio di ogni transazione, quasi 7 volte superiori al dato internazionale (circa 223 euro, pari a 300 dollari).

E’ quanto emerge dal Rapporto Abi-Cespi 2010, la periodica indagine sull’offerta di servizi e prodotti bancari per la clientela immigrata riferita al 2009 ed effettuata su un campione di istituti italiani aderenti all’Abi che rappresentano il 63% degli sportelli complessivi del sistema.

Oggetto della rilevazione sono gli stranieri appartenenti alle prime 21 nazionalita’, ovvero l’88% dei 3,891 milioni di immigrati presenti in Italia al 31 dicembre scorso. Si conferma dunque, secondo lo studio, un’indicazione gia’ emersa nel corso delle precedenti indagini: "i migranti ricorrono alla banca italiana per trasferimenti di ammontare elevato, generalmente oltre mille euro, rispondendo a esigenze e funzionalita’ diverse dalla rimessa cosiddetta tradizionale, inviata periodicamente ai familiari tramite altri canali".

I paesi verso cui gli istituti canalizzano i maggiori flussi di rimesse dall’Italia sono Marocco e Romania, seguiti da Moldova, Brasile e Albania.Ad aumentare anche, pur in un contesto di crisi, i conti correnti intestati agli immigrati, passati da 1,404 milioni a 1,514 (+7,9%). Nel frattempo gli immigrati residenti nel nostro Paese sono divenuti 3,891 milioni (+32,4% rispetto al 2007).

Il marcato aumento della popolazione straniera, cresciuta con un tasso quattro volte superiore al numero dei conti correnti intestati ai migranti, ha leggermente abbassato il tasso di bancarizzazione: dal 67% del 2007 al 61% di fine 2009.

"Va tuttavia rimarcato – si legge ancora nello studio- che il processo di bancarizzazione e’ strettamente connesso al tempo di permanenza in Italia: e’ dunque ragionevole ipotizzare che il processo non avvenga immediatamente all’ingresso nel nostro paese, ma richieda un arco temporale minimo, stimato in almeno cinque anni, per acquisire una prima, pur se ancora precaria, stabilita’ economica e lavorativa, perche’ si avverta il bisogno di un rapporto bancario e si abbiano i documenti necessari per l’accesso in banca".

L’immigrato si rivolge alla banca in prevalenza con l’obiettivo di aprire un conto corrente per esigenze familiari. Aumentano costantemente, tuttavia, gli imprenditori stranieri bancarizzati.

A fine 2009 i titolari di un conto corrente erano 52.924, ovvero il 3,5% del totale dei correntisti immigrati. Si tratta di clienti consolidati, visto che il 20% ha un c/c da piu’ di cinque anni, con un indice di fedelta’ peraltro superiore rispetto a quello osservato nel segmento di clientela ‘retail’ (dove il 18% ha un c/c da piu’ di cinque anni), cui e’ riconducibile il 96% dei conti correnti intestati a stranieri residenti in Italia.

Per quanto riguarda i finanziamenti, un correntista su tre ha avviato un rapporto di credito con la banca. E i prestiti (34% del totale) prevalgono sul credito immobiliare (28%). A fine 2009 il 47% dei piccoli imprenditori immigrati titolari di un conto corrente aveva un finanziamento in corso, con una distribuzione equilibrata fra scadenze a breve (48% del totale) e a medio-lungo termine (52%).

 E sempre in tema di imprenditorialita’ straniera, tra il 2007 e il 2009 nel segmento ‘small business’ (ditte individuali, anche artigiane; imprese con meno di dieci addetti e fatturato non superiore a 2 milioni, enti senza finalita’ di lucro), si e’ manifestato un fortissimo aumento dei conti correnti (da 13.812 a 22.422, +62%) a fronte di una sostanziale stabilita’ della quota di piccoli imprenditori immigrati bancarizzati sul totale dei clienti immigrati (4,5% nel 2007 e 4,1% nel 2009).

"Il dato – conclude l’Abi- sembra costituire un indizio circa un possibile effetto della crisi finanziaria sulla popolazione migrante che ha combattuto la precarieta’, quando non la disoccupazione, rischiando in proprio con l’avvio di piccole attivita’ imprenditoriali".

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