Roma, 24 gennaio 2022 – La Camera dei Deputati ha approvato definitivamente il 21 dicembre scorso la legge europea 2019/2020, pubblicata sulla GU n. 12 del 17 gennaio 2022.
L’articolo 3 della nuova legge ha previsto, per chiudere una procedura di infrazione in corso e porre fine ad un contenzioso giurisprudenziale che durava da anni, la modifica dell’articolo 41 del Testo Unico Immigrazione (D.lgs. n. 286/98), per estendere le prestazioni sociali anche agli stranieri non in possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo.
Il primo comma dell’art. 41, sancisce in linea generale la parità di trattamento nelle prestazioni “di assistenza sociale” alla sola condizione che lo straniero sia titolare di un permesso di soggiorno di almeno un anno. Si tratta di un principio generale che era già in vigore, ma che nel corso degli anni era stato via via smantellato prima dell’art. 80, comma 19 L. 388/2000, poi dalle singole disposizioni che avevano di fatto riservato tutte le prestazioni di assistenza ai soli titolari di permesso di lungo periodo.
Limitatamente alle prestazioni di sicurezza sociale, la regola generale subisce tuttavia delle deroghe per quanto riguarda i titolari di permesso unico lavoro o di un permesso per motivi di studio o ricerca. Ai sensi del nuovo comma 1bis dell’art. 41, la equiparazione ai cittadini italiani in tali casi opera solo in costanza di un rapporto di lavoro oppure nel caso si sia svolta un’attività lavorativa per un periodo non inferiore a sei mesi e sia stata resa la dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento della stessa ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150.
Per le prestazioni familiari (ovvero un “sottogruppo” rispetto a quello più ampio delle prestazioni di sicurezza sociale) il comma 1 ter prevede un regime ancora diverso: l’equiparazione con i cittadini italiani opera “esclusivamente” in favore dei titolari di permesso unico lavoro autorizzati allo svolgimento di attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi e dei titolari di un permesso per motivi di ricerca autorizzi a soggiornare per un periodo superiore a 6 mesi.
Si tratta in quest’ultimo caso di una disposizione che dovrà essere letta sia in coordinamento con le norme appena entrate in vigore sull’assegno unico universale (D.lgs. n. 230/2021, sia tenendo conto dei principi sanciti nella recentissima sentenza della Corte Costituzionale sul bonus bebé e l’assegno di maternità.
FONTE NEWS: Integrazione Migranti – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali