Roma, 1 ottobre 2024 – Il sistema sanitario italiano si trova di fronte a una sfida crescente: garantire l’accesso alle cure oncologiche per la popolazione immigrata, che spesso affronta difficoltà linguistiche e burocratiche. Questo problema ha effetti significativi sulla prevenzione e sulla diagnosi precoce delle neoplasie, come evidenziato dai dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), presentati al convegno nazionale Oncologia e immigrazione, al centro delle Giornate dell’etica a Venezia.
Diagnosi tardive: una realtà preoccupante
Secondo il sondaggio promosso da AIOM, quasi il 40% delle donne immigrate non esegue regolarmente la mammografia, un dato allarmante se confrontato con il 27% delle italiane. Questo ritardo nell’accesso agli esami preventivi si traduce in diagnosi tardive: il carcinoma mammario è identificato in stadio avanzato (III-IV) in una percentuale più alta tra le donne immigrate rispetto alle italiane, compromettendo le possibilità di guarigione. Complessivamente, l’80% dei tumori mammari nelle immigrate viene diagnosticato in fase precoce, contro quasi il 90% nelle italiane.
Questa situazione riflette una disparità nell’accesso alle cure che si manifesta fin dalle prime fasi del percorso diagnostico, come evidenzia anche Antonella Brunello, membro del direttivo AIOM: “Solo il 40% degli oncologi può contare sulla presenza di un mediatore culturale durante la prima visita di un paziente con difficoltà linguistiche”. La mancanza di strumenti adeguati per comunicare e informare questi pazienti rappresenta un grave ostacolo, non solo nella diagnosi, ma anche nel trattamento e nella gestione della malattia.
Le difficoltà della gestione oncologica degli immigrati
Gli oncologi italiani si trovano spesso impreparati di fronte alla complessità della gestione dei pazienti stranieri. Il 60% degli oncologi intervistati da AIOM ritiene che la gestione dei pazienti extracomunitari sia particolarmente complessa, e il 91% esprime preoccupazione per l’incapacità di comunicare in modo efficace con questi malati. Questo impatta direttamente sulla prognosi: per l’81% degli oncologi, la prognosi oncologica per i migranti è significativamente peggiore rispetto a quella dei residenti italiani, soprattutto a causa delle difficoltà di accesso tempestivo alle cure.
Filippo Pietrantonio, membro del direttivo AIOM, sottolinea come, nonostante il diritto formale all’accesso alle strutture sanitarie, molti immigrati si trovano in difficoltà per motivi culturali, burocratici e informativi. “Queste persone troppo spesso arrivano alla diagnosi quando il cancro è già in uno stadio avanzato, a causa di scarsa prevenzione ed informazione”, afferma Pietrantonio. Un altro aspetto cruciale è la mancanza di caregiver per i pazienti stranieri, spesso soli nel percorso di cura.
Un problema di equità e di etica
Il tema delle cure oncologiche per gli immigrati pone importanti questioni etiche. Come evidenzia Tiziana Latiano, membro del direttivo AIOM, “Siamo di fronte a un problema etico e non bisogna distinguere fra immigrati regolari e irregolari”. La presenza crescente di pazienti stranieri nei reparti di oncologia medica richiede una risposta adeguata, capace di superare le barriere linguistiche e culturali che ostacolano la qualità dell’assistenza.
Nonostante la popolazione immigrata residente in Italia sia sempre più giovane rispetto a quella italiana – l’età media è di 40 anni, con solo il 10% degli stranieri over 60 – gli ostacoli nella prevenzione e nella diagnosi restano preoccupanti. Uno studio condotto da Manuel Zorzi, direttore del Registro Tumori del Veneto, ha mostrato come, nonostante un’incidenza complessiva più bassa di tumori tra i migranti, il rischio di diagnosi in stadio avanzato resta elevato.
Verso un futuro di cooperazione internazionale
L’AIOM sta cercando di affrontare il problema anche a livello internazionale. Saverio Cinieri, presidente della Fondazione AIOM, ha sottolineato l’importanza di collaborare con Paesi come il Perù e la Tanzania per condividere linee guida e promuovere l’oncologia di precisione anche nelle aree meno sviluppate. L’inaugurazione del Mwanza Cancer Center in Tanzania è un esempio di come la cooperazione internazionale possa migliorare l’accesso alle cure oncologiche, contribuendo anche alla formazione di nuovi professionisti.
Conclusioni
Le Giornate dell’etica hanno messo in luce una sfida crescente per il sistema sanitario italiano: garantire un accesso equo alle cure oncologiche per la popolazione immigrata. Le barriere linguistiche, insieme alle difficoltà burocratiche e culturali, ostacolano la prevenzione e la diagnosi precoce, compromettendo la prognosi e la qualità della vita dei pazienti stranieri. Il documento finale che sarà pubblicato al termine del convegno rappresenta un importante passo avanti verso proposte operative concrete, con l’obiettivo di superare le disuguaglianze e migliorare l’assistenza oncologica per tutti.