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Migranti, i centri in Albania sono pronti ma una sentenza potrebbe far saltare il progetto

Roma, 10 ottobre 2024 – A quanto pare, dopo tante peripezie, il governo italiano sembra essere pronto a inaugurare i nuovi centri per migranti in Albania. Il piano, però, rischia di fallire ancor prima di partire. Nelle prossime settimane, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sono attesi in Albania per il taglio del nastro dei nuovi hotspot di Shengjin e del centro di detenzione e rimpatrio (Cpr) di Gjader. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di giustizia europea ha sollevato dubbi sulla legittimità dell’intera operazione, mettendo a rischio il protocollo firmato con Tirana.

Migranti, il progetto in Albania e le sue criticità

Il piano, che prevede il trasferimento dei migranti intercettati in mare da navi italiane verso i centri albanesi, ha come obiettivo un’accelerazione delle procedure di asilo e un rimpatrio rapido per i soggetti considerati “non vulnerabili”. Tuttavia, la Corte europea ha stabilito che per designare un Paese come “sicuro” non possono esserci eccezioni territoriali o per determinate categorie di persone. Questo criterio si scontra con la pratica italiana di indicare alcuni Stati, come Tunisia, Egitto e Bangladesh, come sicuri solo in parte. Senza questi requisiti, la possibilità di applicare procedure accelerate risulta quindi annullata.

Se i giudici italiani si atterranno alla sentenza della Corte, i migranti inviati in Albania potrebbero essere liberati entro 48 ore e riportati in Italia, in quanto la legge prevede che nessuno possa rimanere libero sul territorio albanese. Una situazione che potrebbe trasformare i nuovi centri in strutture vuote, esponendo il governo italiano a un danno politico ed economico considerevole: l’intera operazione è infatti costata quasi un miliardo di euro. E nonostante questi ostacoli, il Viminale intende proseguire con l’attuazione del piano. La strategia prevede che i migranti soccorsi in acque internazionali ma nella zona di ricerca e soccorso italiana vengano temporaneamente trattenuti su una nave militare, ormeggiata vicino Lampedusa e adibita a centro di smistamento. Da qui, dopo una prima identificazione, verranno selezionati coloro provenienti da Paesi ritenuti “sicuri” per il trasferimento in Albania. Donne, minori e soggetti vulnerabili, come chi ha subito torture nei campi libici, saranno invece accolti nel circuito di protezione italiano.

Le implicazioni della sentenza europea

Una volta che il numero dei migranti destinati all’Albania sarà considerato sufficiente, la nave si dirigerà verso i nuovi hotspot albanesi, dove si procederà con un ulteriore screening per confermare l’applicabilità delle procedure accelerate. Inizialmente, le operazioni saranno monitorate da personale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ma il rischio di rilascio immediato rimane elevato.

L’operazione, però, rischia di rivelarsi un boomerang per il governo Meloni. La decisione della Corte di giustizia europea, infatti, ha stabilito un precedente che impone a tutti i Paesi dell’UE di rivedere le proprie liste di Paesi sicuri e di conformarsi a criteri più rigidi. Questo rende di fatto inapplicabile il protocollo albanese e rischia di esporre l’Italia a conseguenze legali e a uno stop istantaneo del piano, con la possibilità che la Corte dei Conti avvii un’indagine per danno erariale.

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