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Il punto. Dragan, il bosniaco caduto nella guerra d’Italia

Orfani e figli di un eroe, come in guerra, come quando dal fronte arrivava il dispaccio. Vivono a Celinac, in Bosnia, hanno 4 e 8 anni, e da oggi non saranno più i figli di uno dei tanti muratori che mandano a casa i soldi guadagnati in Italia. Saranno due orfani figli di un eroe. Dove non era riuscita la guerra di Bosnia, è riuscita la guerra d’Italia.

Il loro padre si chiamava Dragan Cigan, aveva 31 anni e lunedì scorso si è tuffato nelle acque agitate di Cortellazzo di Jesolo per salvare due bambini trevigiani. Il suo amico Drako è sicuro: "L’ha fatto perché anche lui ha due figli: ha visto due bimbi in difficoltà e ha pensato come se fossero i suoi".

Sì, il motivo è semplice. Dragan non sapeva nuotare bene, e nessuno aveva chiesto aiuto proprio a lui. L’impulso che l’ha condannato è stato quello di vedere i suoi figli nei figli degli altri. Dragan non aveva studiato filosofia né era un attivista religioso, ma coglieva ancora nella vita altrui la sua vita e la sua carne. E’ questo candore degli occhi che l’ha fatto perdere nelle acque del Veneto. Ed anche se oggi è già scomparso dalle cronache, proprio quel suo slancio di sentirsi non immigrato, non ospite, ma uomo fra gli uomini, merita di non essere dimenticato mai.

Sua moglie e i suoi figli ora piangono senza sosta, mentre dalle istituzioni italiane arrivano impegni a sostenerli con quel denaro che a Dragan costava sudore e lontananza. Dicono i suoi parenti, gli amici: "Era un uomo buono che aiutava sempre chi aveva bisogno". Dragan Cigan come Cheick Sarr, senegalese di 27 anni che nel 2004 morì nelle acque toscane per salvare un turista italiano; come Iris Noella Palacios Cruz, honduregna di 20 anni che l’estate scorsa annegò all’Argentario per salvare la bimba di cui era baby sitter.

I pellegrini del ventunesimo secolo portano nelle valige sentimenti diversi. La paura e l’odio si mischiano spesso con la rabbia di riscattare la povertà da cui provengono. L’imam di Perugia Mostapha el Korki usava l’Italia come scuola di violenza che vale anche per i bambini. Il vero terrorista si alleva da piccolo, quindi ecco un ciclo di lezioni per imparare a "picchiare e far uscire il sangue" ai coetanei non musulmani; ed ecco la moschea trasformata in zona franca dove si compiono feroci riti di cui sono vittime prescelte le donne, i bambini, gli uomini che non mostrano la dovuta ortodossia.

Verso questo tipo di immigrati usiamo da sempre un misto di indifferenza e tolleranza camuffate da rispetto dell’etnia. E’ da questa miscela che nascono casi come quello di Hina, la ragazza pakistana di vent’anni uccisa dai parenti perché amava un italiano. E’ questo atteggiamento che disegna la complicità di un’intera nazione con le peggiori degenerazioni del fanatismo religioso, al punto da far dire a Magdi Allam che gli islamici estremisti sono spesso più violenti ed impuniti in Italia che nei loro paesi d’origine. Ed è la stessa cosa che sta accadendo per molte comunità di rumeni, dove vige una legge fatta di botte, coltellate e stupri, così come di certo non accade in Romania.

Ad altri immigrati, invece, quelli che tacciono e lavorano, quelli come Dragan, riserviamo un altro tipo di indifferenza: uno sguardo vuoto che confina con la diffidenza; un riflesso pronto a reagire al primo segno sospetto. Proprio nel giorno di Dragan, un operaio albanese di Bolzano ha rischiato seriamente di essere linciato per strada. Sposato e padre di due figli, regolarmente in Italia da 4 anni, addetto alla raccolta dei rifiuti, si è messo a scherzare con dei ragazzini toccandone uno sulla nuca per mimare un gioco. Dopo una mezz’ora di passaparola che trasformava il suo atto in un gesto pedofilo, circa 100 persone lo hanno circondato e poi riempito di calci e di sberle. Terrorizzato, l’operaio si è salvato solo per l’intervento di due autopattuglie della polizia. Alla fine, in ospedale ha detto: non sporgo denuncia, voglio solo che mi venga chiesta scusa.

E’ la dignità che conta, è l’antico concetto di onore, per tanti derelitti che hanno consegnato la loro vita ad un lavoro umile in un paese ostile. Sanno che per loro non ci saranno mai ricchezza né agi, ma un cammino difficile in cui al lavoro andranno sempre aggiunte l’inimicizia e la diffidenza di chi ti circonda. Sanno che l’unico faro che li porterà avanti sarà la vita dei loro figli, che per merito dei loro sacrifici potrà essere diversa e felice.

E’ per questo che Dragan si è tuffato in quel mare nemico. Nell’acqua c’erano due bambini. Neppure un attimo per pensare, per lui quei bambini erano i suoi. Nell’acqua c’era il suo futuro, il senso stesso della sua vita. Si è gettato, li ha salvati, è morto nella sua personale sfida, nella sua gloriosa campagna d’Italia. Lo chiamiamo eroe, ma era un eroe anche prima.

(26 luglio 2007)

 

Sergio Talamo

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