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Cittadinanza. Quando Berlusconi diceva: “Favorevole alla riforma”

In campagna elettorale il leader del Pdl ha aperto alle seconde generazioni: “Assolutamente strano che non possano essere italiani fino in fondo”

Roma – 7 maggio 2013 –  “Non sono accettabili colpi di mano o scelte demagogiche“, “lo ius soli non sarà mai legge della Repubblica”, “il ministro Kyenge non insista”…

Il furore che ha acceso nei giorni scorsi un esponente di spicco del Popolo della Libertà del calibro di Maurizio Gasparri contro l’ipotesi di una riforma della cittadinanza dedicata ai figli degli immigrati rischia di far dimenticare un passaggio importante dell’ultima campagna elettorale. Quello che solo pochi mesi fa ha visto Silvio Berlusconi, presidente del Pdl, schierarsi a favore di quella riforma.

Il 6 febbraio scorso, ai microfoni di Radio 24, prima si schermì: “Non è compreso nel nostro programma”, poi spiegò: “Io personalmente penso che devono esistere delle condizioni, cioè che i genitori debbano essere qui, avere un’attività di lavoro ed essere considerati come un fatto positivo per il nostro Paese e per la nostra economia”.

"Niente ius soli secondo lei?", chiese allora l’intervistatore. “No, se ne può parlare. è qualcosa che si deve approfondire” rispose Berlusconi. Però aggiunse subito (presagendo i mal di pancia che avrebbe scatenato tra i leghisti: “Sono abbastanza reticente ad esprimere pareri miei perché poi succede che ciò che non è nel nostro programma magari può essere assunto come una posizione diversa da parte dei nostri alleati…"

Due giorni dopo il Cavaliere tornò sull’argomento. Era ospite di un programma di Rai Tre e una ragazza della rete G2 gli chiese la posizione del Pdl su una riforma della cittadinanza con “forme di ius soli” aperta ai figli degli immigrati.

 “Personalmente, ma credo anche tutti gli aderenti al mio movimento, io penso che si debba lavorare intorno a questa ipotesi. La situazione oggi la conosciamo, ci vogliono cinque anni per gli apolidi e per i rifugiati prima di chiedere al cittadinanza italiana, ci vogliono dieci anni per chi è qui con un regolare permesso di soggiorno, invece per i bimbi che sono diventati grandi nati qui se ne parla dopo i 18 anni e non è detto che tutti riescano” rispose.

“Una delle cose che mi commuove di più – aggiunse Berlusconi – è sentire un ragazzo magari di colore che parla in un nostro dialetto. Una volta ho sentito un ragazzo che parlava siciliano, un’altra volta un ragazzo che parlava con un fortissimo dialetto emiliano e veramente sembra assolutamente strano che persone così che sono nate qui, che sono esattamente come noi, non possano avere facilmente la cittadinanza essere considerati italiani fino in fondo. Io le esprimo il mio personale pensiero è quello che dobbiamo rivedere queste norme in senso favorevole alla concessione della cittadinanza”.

È vero che in quell’occasione fu subito bacchettato dai suoi alleati leghisti. Roberto Maroni ribadì che la lega vuole “mantenere il principio dello ius sanguinis attualmente in vigore: tu sei cittadino italiano se sei figlio di cittadini italiani e non se nasci in Italia” e che lo ius sanguinis “sarebbe uno stravolgimento inaccettabile che comporterebbe l’afflusso di massa di cittadini extracomunitari”. Gasparri, però, rimase zitto.

Elvio Pasca
 

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