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Corte Costituzionale: reddito di cittadinanza, il requisito della residenza decennale deve essere ridotto a 5 anni

Roma, 20 marzo 2025 – Il Reddito di cittadinanza (Rdc) – abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2024 – non ha natura assistenziale, non essendo diretto «a soddisfare un bisogno primario dell’individuo»: si tratta, infatti, di una misura di politica attiva per l’occupazione, di carattere temporaneo, soggetta a precisi obblighi e soprattutto a rigide condizionalità che, se disattese, determinano il venir meno del diritto alla prestazione. È  questo quanto ha ribadito la Corte costituzionale, nella sentenza  di interpretazione costituzionalmente orientata, depositata in data odierna.

I giudici hanno precisato che non può essere accolta la questione prospettata in via principale dal giudice rimettente, che porterebbe, in sostanza, ad annullare completamente il requisito di radicamento territoriale in base alla residenza, rendendo sufficiente solo quello, per i cittadini degli Stati membri, del diritto di soggiorno. Non trattandosi, ad avviso della Corte,  di una prestazione meramente assistenziale, un requisito di radicamento territoriale non determina, di per sé, una violazione del divieto di discriminazione indiretta e delle relative disposizioni del diritto dell’Unione, che pure vengono in considerazione nella questione in esame. Per quanto un tale requisito ponga di fatto il cittadino italiano in una posizione più favorevole, «non di meno la discriminazione indiretta ben può ritenersi giustificata – secondo la Corte –  quando sussistono ragioni che la rendono necessaria e proporzionata», come affermato dalla stessa Corte di giustizia in più occasioni.

Peraltro, continuano i giudici,  la recente raccomandazione del Consiglio del 30 gennaio 2023, relativa a un adeguato reddito minimo che garantisca l’inclusione attiva, consente chiaramente agli Stati membri, per l’accesso a prestazioni aventi struttura e funzioni analoghe a quelle del Rdc, il ricorso al criterio selettivo basato sulla residenza protratta, anche in considerazione dell’esigenza di salvaguardare «la sostenibilità delle finanze pubbliche», purché «la durata del soggiorno legale sia proporzionata».

 Tuttavia – osserva la Consulta –  nonostante tali considerazioni, il periodo di residenza decennale pone una barriera temporale all’accesso al Rdc che trascende la ragionevole correlazione con le finalità di quest’ultimo. A differenza di altre misure, come l’assegno sociale che la  Corte ha ritenuto correlate allo «stabile inserimento dello straniero in Italia, nel senso che la Repubblica con esse ne riconosce e valorizza il concorso al progresso della società, grazie alla partecipazione alla vita di essa in un apprezzabile arco di tempo» (sentenza numero 50 del 2019 e ordinanza numero 29 del 2024), il progetto di inclusione previsto dal Rdc non guarda, come invece le suddette misure, al concorso realizzato nel passato, ma alle chances dell’integrazione futura, mirando alla prospettiva dello stabile inserimento lavorativo e sociale della persona coinvolta. In quest’ottica il gravoso termine del pregresso periodo decennale non appare ragionevolmente correlato alla funzionalità della misura e si pone in violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’articolo 3 della Costituzione . Ne consegue, concludono i giudici, che  il termine decennale debba essere sostituito con quello di cinque anni, che si presenta, per diverse ragioni, «come una grandezza pre-data idonea a costituire un punto di riferimento presente nell’ordinamento». 

La decisione, osserva la Corte, è coerente con la  sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, grande sezione, 29 luglio 2024, eliminando, in riferimento a qualsiasi cittadino, sia italiano, sia degli altri Stati membri, sia di Paesi terzi, il requisito della residenza decennale. La Corte di Giustizia aveva però sostenuto la natura assistenziale del Rdc. 

FONTE NEWS: Integrazione Migranti

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