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“L’Italia siamo noi”, Jacopo Storni racconta gli immigrati di successo

Nuovi ricchi, nuovi vip, nuovi apostoli e nuovi soldati. Una carrellata di uomini e donne che hanno tagliato il traguardo dei sogni. “Storie attualmente eccezionali, ma che nei prossimi decenni diventeranno regola”

 

 

Roma – 8 giugno 2016 – “Finché continueremo a raccontare gli immigrati soltanto come profughi, poveracci, schiavi, badanti e delinquenti, gli immigrati resteranno sempre e soltanto profughi, poveracci, schiavi, badanti e delinquenti”.

Jacopo Storni, giornalista, va in direzione contraria. Per mestiere e passione ci tiene a ribaltare gli stereotipi. Nel suo “L’Italia siamo noi” (Castelvecchi) raccoglie storie di immigrati di successo e dimostra come talenti e know-how arrivati dai quattro angoli del mondo stanno arricchendo, non solo economicamente, il nostro Paese.

È una contronarrazione, rispetto a quella pietistica, “nera” o a caccia di sensazionale in voga sui mass media. Qui il sensazionale è quotidiana integrazione. “Questa volta – scrive Storni nelle prime pagine – si parla dell’altra faccia dell’immigrazione. Di coloro che, partiti dalla povertà, dopo anni di sacrifici hanno tagliato il traguardo dei sogni”. 

Sono persone come Fuad, il primario somalo dell’ospedale; Otto, il finanziere camerunense; Halyna, da badante a imprenditrice; Francesco, il poliziotto nero; Liliam, bambina di strada diventata cake designer; Toni, l’assessore nigeriano; Nelu, da schiavo del mattone a imprenditore edile; Jean Jacques, il prete africano; Molid, dal barcone al Novotel; Romano, il soldato eritreo col tricolore sul petto. 

Uomini e donne con esperienze molto diverse tra loro, ma tutte interessanti nella loro esemplare unicità. Storni le ha raccolte di persona, girando l’Italia per incontrare tutti i protagonisti del suo libro. Hanno nomi e cognomi, non sono più “immigrati” o “profughi”. Se proprio avete bisogno di categorie, suggerisce “L’Italia sono io”, sono “nuovi ricchi”, “nuovi vip”, “nuovi apostoli”, “nuovi soldati”… 

“Storie attualmente eccezionali – avverte l’autore – ma che nei prossimi decenni diventeranno regola”. Non a caso il titolo dell’ultimo capitolo, alla fine del viaggio, è “Verso il futuro”. “Un futuro multiculturale è inevitabile (e forse sarà un futuro migliore). In questo libro tento di raccontare l’Italia che ci aspetta”.

 

 

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