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La storia di Nawal Soufi, l’attivista processata per aver aiutato i migranti

Roma, 26 marzo 2024 – Nawal Soufi, 35 anni, è un’attivista per i diritti umani che non conosce confini. Attraverso un impegno incessante e altruista, Nawal si batte per informare le autorità e la società civile sull’odissea dei migranti in difficoltà nel Mediterraneo, utilizzando la sua pagina Facebook per diffondere coordinate di posizioni in mare e registrazioni di richieste di soccorso. Il suo impegno, però, nel tempo l’ha costretta a doversi confrontare anche con la giustizia.

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Migranti, la storia di Nawal

Nata in Marocco, Nawal è giunta a Catania insieme ai suoi genitori quando era ancora bambina. Fin da giovane, ha dimostrato una profonda sensibilità per le sfide dei migranti, trasformando un garage in un deposito per alimenti, beni di prima necessità e vestiti donati dai cittadini catanesi per i migranti che sbarcavano in Sicilia. Durante l’operazione Mare Nostrum, avviata in seguito alla tragedia del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, poi, Nawal è stata in prima linea nell’assistenza ai migranti, offrendo aiuto e solidarietà in un momento di estrema crisi umanitaria. Tuttavia, la sua dedizione le ha procurato guai legali, con un’indagine da parte della procura di Catania per l’accusa di procurato ingresso clandestino, accusa che dopo dieci anni è stata finalmente ritirata, riconoscendo il suo ruolo di attivista senza fini di lucro.

La richiesta di assoluzione da parte della procura di Catania rappresenta un segnale positivo nei confronti della solidarietà e della giustizia. “Mi reputo solo più fortunata delle persone che accolgo tutti i giorni. Ho avuto la possibilità di avere un equo processo in uno stato di diritto, a differenza delle persone che scappano da molti Paesi. Quando li incontro mi raccontano di come i loro figli siano stati giustiziati per il semplice fatto di aver partecipato a una manifestazione pacifica. O per aver espresso le proprie opinioni in pubblico. Dieci anni per un procedimento del genere sono però davvero tanti e naturalmente ne ho sentito il peso”, ha raccontato a Repubblica.

Nonostante questo, nonostante il processo, comunque, Nawal non ha rimpianti: “Rifarei tutto quello che ho fatto e ripercorrerei le stesse strade, nello stesso modo. Siamo nel 2024 e io sono figlia di quel percorso doloroso che mi ha portato a ritrovarmi tra cadaveri, dispersi in mare, genitori che hanno perso i figli nel Mediterraneo e non si sono mai rassegnati. Sono figlia di quel tempo che respinge ragazzini alla frontiera solo perché in cerca di un futuro dignitoso. Sono figlia di un tempo segnato dall’indifferenza e dalla volontà di lasciare le cose così come sono”.

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