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Permessi elettronici. Non c’è scritta sopra la tipologia: caos per le assunzioni

Sui nuovi documenti non c’è scritto il motivo del rilascio. Imprese e famiglie come fanno a capire chi può lavorare e chi no?

ROMA – Sarà anche più sicuro, europeo e meno soggetto a usura, ma il nuovo permesso di soggiorno elettronico ha un grosso limite: non svela al profano (come può essere un aspirante datore di lavoro) perchè è stato rilasciato.

Non sono tanti finora ad aver visto queste tesserine simili a carte di credito che sostituiranno gradualmente tutti i fogli celesti rilasciati negli anni scorsi dalle Questure: fino a un mese fa la lenta macchina che da dicembre gestisce i rinnovi ne aveva attivate meno di 10mila in tutta Italia a fronte di 570mila domande. Le segnalazioni che arrivano in redazione lasciano però immaginare che quello che finora è un problema abbastanza circoscritto sta per diventare l’ennesima grossa gatta da pelare nel governo dell’immigrazione.

Come prevede il decreto che lo ha istituito, sul permesso elettronico vengono stampati i dati anagrafici, la foto del titolare, la validità, il numero. A prima vista non si può però scoprire se il documento è stato rilasciato per studio, lavoro subordinato, motivi familiari o un’altra delle tante situazioni che giustificano il soggiorno in Italia. Questa informazione è infatti contenuta nel chip o nella banda a lettura ottica che solo gli apparecchi in dotazione alle forze dell’ordine possono leggere.

Pensiamo ora alla situazione tipo che si crea quando un immigrato trova un nuovo lavoro. Il colloquio è andato bene, ci si è accordati sul salario, si passa quindi alla burocrazia: prima di procedere all’assunzione, l’impresa chiede all’interessato che tipo di permesso di soggiorno ha in tasca.

Una richiesta più che giustificata. "Il testo unico prevede sanzioni penali per chi occupa immigrati che non hanno un permesso di soggiorno idoneo, è quindi normale che il datore di lavoro si accerti che sia tutto in regola" dice l’avv. Mascia Salvatore, che coordina il pool di esperti legali della Stranieri in Italia. "Bisogna considerare, ad esempio, che non si può assumere come badante o operaio un cittadino straniero con un permesso per lavoro stagionale, o che uno studente può lavorare al massimo per 20 ore settimanali, oppure che chi ha un permesso come "fuori quota" non può cambiare tipo di lavoro…"

"Quando però esamina permesso elettronico, il datore di lavoro non sa come regolarsi, l’unica è fidarsi del cittadino straniero. Abbiamo già seguito diversi casi di assunzioni bloccate all’ultimo minuto perché i lavoratori non potevano dimostare che il loro permesso andava bene. Tanto più che qui a Milano nemmeno la Questura rilascia certificati sulla tipologia del permesso" racconta Maurizio Crippa del Centro Lavoratori Stranieri della Cgil di Milano. "Non bastavano i mesi passati ad aspettare questo documento, – denuncia Crippa – ora anche quando arriva i problemi non sono finiti. Al posto di semplificare le cose, si complica ulteriormente la vita dei lavoratori stranieri e di chi vuole assumerli".

Le difficoltà si fanno ancora più pesanti per le famiglie, comprensibilmente poco ferrate su leggi e burocrazia dell’immigrazione, in cerca di una colf o di una badante. "I nostri iscritti ci chiedono se possono assumere, noi interpelliamo la Questura. Questa però non sempre riesce a fare per tempo le ricerche su quei permessi, per vedere se sono idonei" ci segnalano dalla sede senese di Domina, l’associazione nazionale dei datori di lavoro domestico. "Sarebbe stato più facile scrivere il motivo sul soggiorno, o mettere una sigla per ogni tipologia e fornire una tabella di riferimento sulla quale orientarsi" sottolinea un gruppo di operatrici.

Cosa succederà poi quando il permesso elettronico verrà mostrato ad altri uffici della Pubblica Amministrazione? Consideriamo ad esempio l’iscrizione al servizio sanitario nazionale, le cui modalità cambiano a seconda del motivo del soggiorno. Le Asl non hanno gli apparecchi per leggere il chip dei permessi: accetteranno autocertificazioni o rimpalleranno i cittadini stranieri verso le Questure in cerca di un pezzo di carta che valga da documento ufficiale?

Per una volta, il fatto che finora sono stati rilasciati pochissimi permessi può essere un vantaggio: ci sono i margini per correre al riparo, trovando sui permessi elettronici uno spazietto su cui stampare la motivazione. Senza dimenticare che quel pezzo di plastica, a parte il servizio che si paga a Poste e la marca da bollo, costa al titolare quasi 30 euro: abbastanza per pretendere che non lo lasci in panne proprio nei momenti in cui dovrebbe servire a qualcosa.

(6 giugno 2007)

 

Elvio Pasca

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