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Tassa sui permessi. “Non si paga, il ministero avvisi le Questure”

A quindici giorni dalla sentenza del Tar, il Viminale fa finta di niente, a spese degli immigrati. Piccinini (Inca Cgil): “Silenzio indegno, illegittimo chiedere soldi non dovuti. I nostri legali pronti a intervenire”

 

Roma – 7 giugno 2016 – La tassa sui permessi di soggiorno è stata cancellata, ma chi chiedeva ingiustamente quei soldi agli immigrati fa ancora finta di niente.

A due settimane dalla sentenza del Tar che ha annullato il contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno (80, 100 o 200 euro ), non ci sono state reazioni politiche da parte del governo, e forse non se ne sente la mancanza. Più grave, però, che il ministero dell’Interno non abbia ancora detto alle Questure di adeguarsi. Silenzio anche dal ministero dell’Economia e viene da chiedersi se sarebbe andata così anche se fosse stata spazzata via una tassa che colpisce anche gli italiani, come ad esempio quella sui rifiuti o il canone Rai.

Naturalmente non c’è bisogno di altro per rendere operativa la sentenza del Tar. Oggi, chi chiede il rilascio del permesso deve versare con il bollettino solo il costo “base” del permesso di soggiorno elettronico: 30,46 euro, quindi  aggiungere una marca da bollo da 16 euro e pagare  altri 30 euro per il servizio di Poste Italiane. Punto. non c’è spazio per altre interpretazioni.

Le Questure, però, lo sanno? Forse per sentito dire e non dall’alto: “Aspettiamo disposizioni” è la risposta più frequente a chi chiede conto della novità. La benedetta circolare che chiarisca una volta per tutte agli Uffici Stranieri come stanno davvero le cose ancora non arriva. Il 26 maggio Stranieriinitalia.it ha chiesto informazioni alla Direzione Centrale dell’ Immigrazione, finora nessuna risposta. 

“Il silenzio del ministero è imbarazzante e indegno di un Paese civile, l’incertezza delle Questure rischia di ricadere sulla pelle degli immigrati” dice a Stranieriinitalia.it Claudio Piccinini, coordinatore degli uffici immigrazione dell’Inca, che con la Cgil promosso il ricorso che ha cancellato la tassa. Il patronato ha diffuso oggi un comunicato in cui chiede alla pubblica amministrazione di “adeguarsi al più presto a questa novità, per evitare che si manifestino comportamenti scorretti sul territorio, soprattutto ora che, avvicinandosi il periodo di ferie, molti migranti necessitano dei titoli di soggiorno per muoversi verso i paesi di origine”. 

Tutti i patronati aderenti al Cepa (Inca Cgil, Inas Cisl, Ital Uil e Acli) aiutano gli immigrati a compilare le domande di rinnovo e si sono già adeguati alla sentenza. Ma chi presenta la domanda da sé?  Il rischio è che gli immigrati versino soldi non dovuti, che poi dovranno faticosamente farsi restituire. A complicare le cose c’è l’atteggiamento di alcune Questure, che hanno fatta sapere per vie informali che in attesa di indicazioni dal Viminale sospenderanno l’esame delle domande per le quali non è stato versato il contributo, ventilando anche l’ipotesi di un rigetto. 

“Sospendere o respingere quelle domande – chiarisce per l’ennesima volta Piccinini – è assolutamente illegittimo, così come è illegittimo chiedere soldi non dovuti. Non servono ulteriori provvedimenti, tantomeno una circolare,  per applicare la sentenza del Tar. Le norme che prevedevano il contributi per i permessi di soggiorno sono state annullate. I nostri legali sono allertati, vigileranno sul comportamento delle Questure e sono pronti a intervenire”.

L’ipotesi di tornare in tribunale per far applicare la sentenza di un altro tribunale pare assurda, tanto più che basterebbero poche righe inviate da Roma a tutte le Questure (“Il contributo non c’è più, non chiedetelo…”) per evitare nuovi ricorsi contro il Ministero dell’Interno. Se però non basta la legge perché il ministero si dia una mossa, vale la pena appellarsi alla logica e al buon senso?

Elvio Pasca

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