Una storia d’amore e amicizia. Le prime pagine del romanzo di Amilca Ismael
Rita era la donna più giovane che si trovava nella casa di riposo: proprio lì la conobbi e, con lei, anche tutta la sua storia. La storia di una donna che cambiò la mia e la sua vita e che io ho deciso di raccontare, sperando che possa cambiare, se non altre vite, almeno altri modi di pensare.
Dopo circa un anno di scuola, diventai ASA con tanto di diploma e, da quel momento, quella era la mia professione. Il nuovo titolo di studio mi agevolava il lavoro presso le case di riposo o a domicilio Non tardò ad arrivare una proposta e, dopo circa due mesi, iniziai a lavorare come tirocinante presso una casa di riposo non molto distante da dove abitavo.
Quando entrai in quel posto così lussuoso, pensai a come erano fortunati gli anziani in Italia ad avere un posto tanto bello dove vivere: un posto dove venivano quanto mai ripagati della loro fatica di tanti anni di lavoro, dei loro sacrifici e delle loro rinunce.
Quello non era di certo il mondo a cui ero abituata. Mi sembrava di vivere in un universo parallelo a quello degli anziani dell’Africa e in particolare del Mozambico, paese dove sono nata e cresciuta. La prima impressione in quel continente è l’abbandono: si vedono molti anziani per strada, nei campi o in coda per prendere il pane o ricevere un’assistenza medica.
Questa partita si faceva sempre più dura per me e mi portò a riflettere ancora una volta sulle ragioni che mi avevano portato lì, e mi sorse un dubbio: «Sarà stato Dio ad avermi messo alla prova?».
Vedendo le loro facce così tristi e sole, mi chiesi se avevo scelto questo lavoro solo per avere un stipendio a fine mese o se era stato il destino a portarmi e a farmi rimanere lì. Lavorare con il cuore non è un argomento che si tratta a scuola o che si trova sui libri di testo, ma una lezione che si impara da soli, per rimanere poi incisa nel profondo del proprio essere.
Molte volte l’anziano viene portato in una casa di riposo quando diventa ingestibile in famiglia, non riesce a fare più nulla da solo e tenerlo a casa sarebbe un rischio per lui e per chi gli sta vicino. Il dottor Dimoli, medico specializzato nel morbo di Alzheimer, durante il corso ASA ci aveva detto che, in molti casi, venivano prescritti più medicinali a chi cura a casa un malato di Alzheimer che non al malato stesso.
Per passare il pomeriggio le animatrici decisero di fare una tombola: Verso la finestra, seduta in una carrozzina di colore blu, una donna sui cinquant’anni ignorava completamente quello che accadeva. La sua cartella era ancora intatta, non la guardava neanche, fissava un punto immaginario: era come se non ci fosse. La donna cinquantenne, di nome Rita, come mi aveva rivelato la mia collega Marta, era stata colpita qualche tempo fa da un ictus importante che la costrinse sulla sedia a rotelle. Era stata trovata per terra nel salone di casa sua, ma lei di quella sera non ricordava nulla. Si svegliò in ospedale e le sue condizioni si rivelarono subito critiche.
Rita era una direttrice di banca: un vero colletto bianco, insomma una donna “con le palle”; pare che fosse veramente molto in gamba.
Rita era ogni giorno più assente, aveva la mente altrove, e i suoi pensieri la torturavano. Forse era pentita di tutto o forse no, non si capiva esattamente che cosa le passasse per la testa.
Era lì perché qualcuno aveva deciso così e a lei non importava più nulla; era talmente depressa che se qualcuno le avesse proposto di morire, lei avrebbe messo la firma senza tanti problemi. La sua voglia di vivere e tutti i suoi progetti li aveva persi su un pavimento, quando era caduta a terra a causa dell’ictus e non li aveva ritrovati più.
La guardavo dal piano superiore, tentando di immaginare come era prima di allora: era ancora una bella donna. Non ero tanto sicura che lei volesse veramente gettare la spugna, forse qualcosa in lei si poteva ancora recuperare. Era sola, aveva bisogno di qualcuno con la voglia di ascoltarla, qualcuno che le volesse bene. Rita non aveva bisogno di un’assistente, ma di un’amica. Era però nel posto sbagliato, in una casa di riposo non avrebbe mai fatto un’amicizia: lì c’erano solo anziani depressi e con tanti malanni. Eppure c’era qualcosa che potevo e dovevo fare, avevo l’occasione di aiutare veramente qualcuno e non solo per la pulizia quotidiana o altre varie necessità fisiche. L’aiuto vero va al di là di tutto questo, non era un compito facile, ma dovevo tentare.
Nunzia ebbe la buffa idea di chiamarmi per scherzo Cioccolatino, anche per il colore della mia pelle. La cosa non mi fece arrabbiare: anzi, trovai che il nome fosse più divertente e più semplice da ricordare per gli anziani. Da allora tutti mi chiamano Cioccolatino.
In quel pomeriggio d’inverno il sole ci fu amico, facendo filtrare i suoi raggi tra le nuvole grigiastre e portando un po’ di calore in una giornata così fredda. Persino Rita era raggiante e mi sorrise vedendomi arrivare da lontano.
«Ehi Cioccolatino, ci facciamo una cioccolata?».
«La prendo volentieri; mi ci vuole per scaldarmi, fuori ci saranno meno tre gradi».
Presi la sua carrozzina, spostandola fra le altre e, fra le proteste di qualcuno in cui mi ero incastrata con la ruota posteriore, la portai verso la macchinetta del caffè.
«Ehi, Rita, come sei felice oggi! Dai, racconta cos’è successo, non farti pregare!» le dissi.
«Nulla di speciale; mi sento felice, punto e basta!» rispose tentando di fare la seria.
«Wow, grandi rivelazioni oggi!» scherzai. «Però ti devo fare una domanda personale. Non sei tenuta a rispondere se vuoi, ma tuo marito non lo vedo mai…».
Senza farmi finire, rispose: «Sono divorziata».
«Scusami» dissi a voce bassa.
«Di cosa? Non lo potevi sapere» mi tranquillizzò. E poi cominciò a raccontare: «Il mio matrimonio fu un fallimento fin dall’inizio, vani furono i tentativi di rimediare. «Ce l’ho fatta, Cioccolatino, ho avuto il coraggio di fare quello che molte donne non fanno. La rabbia, la delusione mi hanno dato la forza per terminare quel rapporto e, soprattutto, per rincominciare a vivere. Eh, ma mica sono rimasta sola! Dopo ho conosciuto un uomo, un vero macho. Dio, come era bello!».
«Da quel momento io e Fredy abbiamo iniziato a vederci spesso. Quanto ero felice! Avevo scoperto il vero amore, mi sentivo amata, desiderata. Quanti appuntamenti falsi ho inventato in banca per andare da lui! Credimi, Cioccolatino, non c’è posto dove io e Fredy non abbiamo fatto l’amore. Perfino in banca l’ho fatto!».
«Scusami, Cioccolatino, se te lo chiedo, ma che cosa stai facendo qui? Ti piace più l’Italia o il tuo paese?» mi chiese con una certa curiosità.
Lo sapevo che prima o poi anche Rita me l’avrebbe chiesto; ormai ero abituata a quella domanda perché me l’avevano già fatta migliaia di volte.
«Ormai sono vent’anni che vivo in Italia; tu vuoi sapere se mi piace stare qui? Non lo so neanch’io, mi trovo bene… forse mi piace… insomma tante cose sì e altre no… capisci? Sono solo un po’ delusa perché non era esattamente quello che pensavo dell’Italia e degli italiani. Qui la vita è troppo movimentata, non hai tempo per te, si corre sempre per niente; a questo io non ero abituata, poi qui si lavora e basta e non si è mai contenti. Invece in Africa la gente si accontenta di quel poco che ha, non fa debiti perché sa che non potrà mai pagarli, mangia quel poco che c’è, magari mangia per giorni le stesse cose, non ha la macchina, utilizza quei pochi e pericolosi mezzi pubblici che ci sono, ma è felice, perché tenta sempre di trovare la parte positiva di ogni sua disgrazia. Comunque, di tutta questa storia la cosa più triste per me è non sapere più chi sono».
« «Ti spiego: quando lasci il tuo paese d’origine e vivi tanti anni in un altro paese, scatta in te un meccanismo strano perché, per inserirti nella nuova vita, hai bisogno di mettere da parte le tue abitudini e questo cambia completamente la tua maniera di pensare e di vedere le cose, ma le tue radici comunque rimangono e questo ti crea molta confusione. Come ti dicevo prima, per inserirmi in Italia ho dovuto praticamente vedere la vita in modo diverso, ho smesso di essere tranquilla e ha iniziato a correre come una matta, anche se molte volte rimpiango la tranquillità di prima. La cosa buffa è che, quando vado in Mozambico, quella tranquillità che ho tanto desiderato mi dà fastidio. Un’altra cosa triste è che, pur avendo il passaporto italiano, lavorando come tutti gli italiani e pagando le tasse, insomma dando anch’io un piccolo contributo al paese, ho sempre e comunque il timbro di “extracomunitaria” che mi accompagna nel mio percorso giornaliero e che mi emargina a causa delle mie radici e non permette alla gente di vedermi per quello che sono veramente. Quando, poi, torno al mio paese, ho sempre bisogno di un visto per entrare come un qualsiasi altro turista. Questo mi disorienta…».
Mi trovavo alla reception a parlare con Romina, l’addetta, quando si sentì suonare il clacson: era l’ambulanza che portava un nuovo ospite.
Entrammo in camera e lo sistemammo sul letto sotto lo sguardo attento di Alberto, che era l’altro occupante della camera. Pochi secondi dopo arrivarono l’infermiera professionale, la capo sala e la dottoressa Alessia. La dottoressa gli chiese il nome e lui rispose:
«Federico Zocchi».
“Federico Zocchi? Non può essere, forse è una coincidenza!” pensai, mentre il cuore mi batteva fortissimo e tanti pensieri mi affollarono la testa. “Che sia l’amante di Rita?” […continua]
“Questo romanzo narra una bella storia d’amore e amicizia, da leggere tutto d’un fiato. La storia ha già emozionato centinaia di lettori … ora tocca a te. Da non perdere. Buona lettura …” Amilca
Amilca Ismael è nata a Maputo, in Mozambico, nel 1963, sesta di otto figli. Ha studiato al liceo scientifico e ha lavorato presso un’azienda internazionale. Si è trasferita in Italia nel 1986. Dopo tanti lavori precari ha deciso di diplomarsi come assistente per gli anziani e ora lavora presso una casa di riposo.
Dopo sei ristampe, per “La casa dei ricordi” è arrivata anche una seconda edizione. Il romanzo ha già riscosso numerosi premi in Italia ed è stato presentato come esempio di letteratura italiana alla "Book Expo America 2009" a New York e alla Beijing Book Fair 2009” la seconda fiera più importante del mondo dopo Frankfurter a Pechino dal 3 al 7 settembre 2009.
Per maggiore informazioni su Amilca Ismael e su La casa dei ricordi collegatevi al blog: www.lacasadeiricordi.wordpress.com