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“Kyenge torni nella giungla”, consigliere condannato per razzismo

Paolo Serafini insultò su Facebook la ministra, che commenta: “Per i giudici il razzismo è reato”. Per i senatori colleghi di Calderoli, invece…

 

 

Trento – 12 ottobre 2015 – “Torni nella giungla dalla quale è venuta” aveva scritto su Facebook Paolo Serafini riferendosi a Cécile Kyenge. Di corredo, foto di scimmie varie. 

Il consigliere circoscrizionale trentino sperava fore di farla franca, anche in considerazione che il vicepresidente del Senato Calderoli ha potuto chiamare impunemente “orango” la ministra dell’Integrazione. Invece Serafini si è beccato due condanne, in primo e secondo grado, per “diffamazione aggravata da discriminazione razziale”.

Venerdì pomeriggio, la  Corte d’appello di Trento ha confermato la sentenza di primo grado dello scorso maggio. A causa di quel post razzista,  dovrà pagare una multa di 2500 euro e un risarcimento di 2mila euro a ciascuna delle cinque associazioni che si sono costituite parte civile nel processo a suo carico. Ciliegina sulla torta: dovrà accollarsi 10 mila euro di spese legali. 

I giudici non hanno sposato la tesi della difesa, che chiedeva l’assoluzione. Secondo gli avvocati di Serafini, quell’invito a tornare nella giungla non era un insulto razzista, ma una semplice manifestazione di dissenso verso l’operato della ministra e  “voleva esprimere l’incapacità e l’incompetenza del ministro, invitandola ad occuparsi di altro”. 

La stessa tesi sposata di fatto dalla maggioranza dei senatori, quando qualche settimana fa hanno deciso che Calderoli non può essere processato per aver chiamato Kyenge “orango”. Per i suoi colleghi Calderoli stava solo esercitando l’insindacabile libertà d’espressione da parlamentare. 

I difensori di Serafini ci vedono una contraddizione.  “Il Senato, per bocca del Pd, ha detto che quelle parole erano ironiche, che non c’era offesa razziale. Serafini –fa notare l’avvocato Mattia Gottardi –  paga più di Calderoli”. 

Una disparità di trattamento sottolineata anche dalla stessa Cècile Kyenge, che così ha commentato la sentenza di Trento su Facebook: “Confermata la condanna a chi mi chiese di “tornare nella giungla”. Perché, quando al Tribunale è consentito di giudicare, il razzismo è reato. Non critica politica né generica diffamazione. Per il Tribunale. La legge sia uguale per tutti”. 

 

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