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TAR Veneto Sentenza del 12 dicembre 2008 legittimo diniego rilascio carta di soggiorno e rinnovo pds

TAR Veneto Sentenza del 12 dicembre 2008 legittimo diniego rilascio carta di soggiorno e rinnovo pds
TAR Veneto Sentenza n. 3845 del 12 dicembre 2008 legittimo diniego rilascio carta di soggiorno e rinnovo pds
Nel caso di specie, il ricorrente, cittadino nigeriano già titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato scaduto il 29.3.2004, presentava alla Questura di Padova istanza volta ad ottenere il rilascio della carta di soggiorno ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 286/1998.
Con il provvedimento impugnato la Questura non solo negava il rilascio della carta di soggiorno, ma non provvedeva neanche al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, sulla base di una sentenza di condanna del ricorrente, emessa il 5.2.2002, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, di sfruttamento della prostituzione, di riduzione in schiavitù e di false attestazioni a pubblico ufficiale.
L’art. 9, comma 3, del D. Lgs. n. 286/1998, individua come condizione ostativa al rilascio della carta di soggiorno l’ipotesi in cui nei confronti dello straniero “sia stato disposto il giudizio per taluno dei delitti di cui all’art. 380 c.p.p. nonché, limitatamente ai delitti non colposi, all’art. 381 c.p.p. o pronunziata sentenza di condanna, anche non definitiva, salvo che abbia ottenuto la riabilitazione".
Il cittadino straniero, favoriva l’ingresso clandestino in Italia di una giovane ragazza nigeriana, per poi ridurla in schiavitù attraverso riti voodoo, costringerla a prostituirsi e a consegnargli tutti i proventi dell’attività di meretricio, nonché sottoporla a violenze e sevizie.
Dalle modalità della condotta emerge la personalità del soggetto che, per il suo comportamento, può essere considerato pericoloso per la civile convivenza ai sensi della legge n. 1423/1956, opportunamente richiamata nel provvedimento impugnato.
E proprio tale valutazione di pericolosità sociale, è idonea a sostenere anche il mancato rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato di cui era titolare il ricorrente. Infatti, tra i requisiti che uno straniero deve possedere per ottenere e mantenere un permesso di soggiorno va annoverato, oltre a quelli ben noti dell’attività lavorativa e dell’alloggio, quello di tenere una condotta corretta. Per tutto ciò, il TAR respinge il ricorso.

Ric. n.93/05       Sent. n. 3845/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Avviso  di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della   L.   27  aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:
Angelo  De Zotti   Presidente
Stefano Mielli                     Referendario
Marina Perrelli    Referendario, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 93/05, proposto da OSAGIE PHILIP OGHOGHO,  rappresentato e difeso dall’avv.to Enrica Caldara, con domicilio presso la Segreteria del TAR, ai sensi dell’art. 35 R.D. 26.6.1924 n. 1054;
CONTRO
Il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato domiciliataria per legge, in Venezia, p.zza San Marco n. 63 ;
PER L’ANNULLAMENTO
del provvedimento del Questore di Padova, emesso il 25.10.2004 e notificato il 9.11.2004, con il quale è stata rigettata l’istanza di rilascio della carta di soggiorno, senza provvedere al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, già posseduto dal ricorrente.
    Visto il ricorso, notificato il 7 gennaio 2005 e depositato presso la Segreteria il successivo 14 gennaio 2005, con i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno, depositata il 17 febbraio 2005, presso la Segreteria;
Vista la memoria prodotta dalla parte ricorrente;
Visti gli atti tutti di causa;
Vista l’ordinanza n. 100 del 2.2.2005 con la quale è stata respinta l’istanza di sospensiva;
Uditi nella pubblica udienza del 16 ottobre 2008 – relatore il Referendario M. Perrelli – l’avv. Favaro in sostituzione di Caldara per la parte ricorrente e l’Avvocato dello Stato Cardin per l’Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il 9.8.2004 il ricorrente, cittadino nigeriano già titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato scaduto il 29.3.2004, presentava alla Questura di Padova istanza volta ad ottenere il rilascio della carta di soggiorno ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 286/1998.
Con il provvedimento impugnato la Questura non solo negava il rilascio della carta di soggiorno, ma non provvedeva neanche al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, fondando le predette decisioni su una sentenza di condanna del sig. Osagie, emessa il 5.2.2002, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, di sfruttamento della prostituzione, di riduzione in schiavitù e di false attestazioni a pubblico ufficiale.
Con un unico ed articolato motivo il ricorrente ha dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione degli artt. 9, 5 e 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998, nonché per eccesso di    potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, per carenza dei presupposti e dell’istruttoria, per incongruenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, poiché, pur in presenza dei prescritti requisiti di alloggio ed occupazione lavorativa, l’amministrazione procedente ha fondato, in modo apodittico ed automatico, il giudizio di pericolosità sociale del ricorrente su una sentenza di condanna emessa  nel febbraio 2002 per fatti risalenti al 2001, prescindendo da qualsiasi indagine sulla personalità complessiva del sig. Osiage e sul suo comportamento nel corso degli anni di presenza sul territorio italiano.
Il ricorrente ha, inoltre, censurato anche l’omesso rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato di cui era già titolare, evidenziando l’erroneità della interpretazione adottata dall’amministrazione resistente atteso che solo a partire dal 10.9.2002, cioè dalla data di entrata in vigore della legge n. 189/2002, è possibile applicare l’automatismo previsto dal novellato art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998 in ordine alla non rinnovabilità del titolo di soggiorno in presenza delle condanne penali indicate dalla detta disposizione.
L’Amministrazione dell’Interno si è costituita in giudizio, concludendo per il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 100 del 2.2.2005 il Collegio ha respinto la domanda cautelare, in considerazione dell’assenza di fumus.
Alla pubblica udienza del 16 ottobre 2008 il Collegio ha trattenuto la causa per la decisione.      
DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
Con il provvedimento impugnato il Questore di Padova rigettava l’istanza presentata dal ricorrente per ottenere il rilascio della carta di soggiorno.  Il Questore, preso atto della sentenza del G.I.P. di Padova del 5.2.2002 con la quale il sig. Osiage era stato condannato ad un anno ed undici mesi di reclusione per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, di sfruttamento della prostituzione, di riduzione in schiavitù e di falsa attestazione a pubblico ufficiale, negava il rilascio della carta di soggiorno giacché sussisteva una causa ostativa ai sensi dell’art. 9, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998. Il Questore, inoltre, ritenuta la pericolosità sociale del ricorrente in considerazione del comportamento tenuto e la sua ascrivibilità ad una delle categorie di cui all’art. 1 della legge n. 1423/1956, negava anche il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.
Le censure articolate dal ricorrente devono essere disattese per le seguenti ragioni. 
L’art. 9, comma 3, del D. Lgs. n. 286/1998, nel testo vigente alla data di adozione dell’atto impugnato, individua come condizione ostativa al rilascio della carta di soggiorno l’ipotesi in cui nei confronti dello straniero “sia stato disposto il giudizio per taluno dei delitti di cui all’art. 380 c.p.p. nonché, limitatamente ai delitti non colposi, all’art. 381 c.p.p. o pronunziata sentenza di condanna, anche non definitiva, salvo che abbia ottenuto la riabilitazione".
Come osservato dalla giurisprudenza  del Consiglio di Stato si tratta di norma che, nel selezionare le condizioni soggettive per poter aspirare alla stabile permanenza nel territorio nazionale, richiede l’assenza di precedenti per le ipotesi di reato ivi previste e ciò a garanzia dell’ordine pubblico. D’altro canto la norma non prevede nemmeno che la condanna sia definitiva e, ove ricorrano i precedenti penali identificati dalla norma stessa, la determinazione negativa del Questore si configura come atto dovuto (cfr. Cons. Stato, VI, n. 4730/2008; Cons. Stato, VI, n.2592/2007).
Né a tal fine può assumere rilevanza la dichiarazione di estinzione del reato, emessa il 14.6.2007 dal Tribunale di Padova, poiché al momento dell’emissione del provvedimento (24.10.2004) non è revocabile in dubbio che la sentenza di condanna spiegasse tutti i propri effetti. 
Ma anche a voler prescindere dall’automatismo previsto dal citato art. 9 ante novella del D.Lgs. n. 3/2007, dalle modalità della condotta tenuta dal ricorrente non è revocabile in dubbio che possa trarsi un giudizio di pericolosità sociale del soggetto, specie in considerazione dei motivi che lo hanno portato a delinquere.
Il sig. Osagie, infatti, nonostante fosse titolare di regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, favoriva l’ingresso clandestino in Italia di una giovane ragazza nigeriana, per poi ridurla in schiavitù attraverso riti voodoo, costringerla a prostituirsi e a consegnargli tutti i proventi dell’attività di meretricio, nonché sottoporla a violenze e sevizie (ustioni procurate con la fiamma di un accendino o con un mestolo immerso nell’olio bollente), per aver ritenuto le somme ricevute insufficienti.
Dalle modalità della condotta emerge la personalità del soggetto che, per il suo comportamento, può essere considerato pericoloso per la civile convivenza ai sensi della legge n. 1423/1956, opportunamente richiamata nel provvedimento impugnato.
E proprio tale valutazione di pericolosità sociale, compiutamente contenuta nel provvedimento in esame,  è idonea a sostenere anche il mancato rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato di cui era titolare il ricorrente, a prescindere dall’automatismo previsto dall’attuale formulazione dell’art. 4, comma 3, del D.Lg.s. n. 286/1998 come novellato dalla legge n. 189/2002, non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.
Infatti, tra i requisiti che uno straniero deve possedere per ottenere e mantenere un permesso di soggiorno va annoverato, oltre a quelli ben noti dell’attività lavorativa e dell’alloggio, quello di tenere una condotta corretta.
I requisiti non devono essere posseduti unicamente al momento dell’ingresso in Italia e del rilascio del permesso di soggiorno, ma devono permanere anche durante il soggiorno nel nostro Paese e possono (e devono al momento della domanda di rinnovo) essere soggetti a verifica in ogni momento da parte dell’autorità, per cui, se vengono a mancare, provocano la revoca del permesso già in essere ovvero, se risultano carenti al momento della scadenza del permesso, giustificano il diniego di rinnovo. Invero, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998, il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato.
E tra gli elementi ostativi al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, ovvero tali da giustificare la sua revoca, vi è la cosiddetta pericolosità sociale, prevista dall’art. 13, comma 2, del citato D.Lgs., laddove si contemplano i presupposti affinché l’autorità prefettizia disponga l’espulsione dal territorio dello Stato e, segnatamente, nella lett. c), che menziona gli appartenenti a taluna delle categorie indicate nell’art. 1, della legge n. 1423/1956 e successive modifiche.
In sostanza, qualora vi siano elementi di fatto, anche se concretatisi in un singolo episodio ed anche prescindere dal vaglio del medesimo da parte del giudice penale, sufficienti a generare un notevole allarme sociale, il giudizio di pericolosità deve ritenersi giustificato, tenendo presente che si tratta comunque di attività discrezionale della pubblica amministrazione, sindacabile unicamente in caso di illogicità, di carenza di presupposti, o di manifesta incongruità (cfr. TAR Veneto, III, n. 2110/2003).
Per le stesse ragioni fin qui indicate i giudizi espressi in sede penale, ivi compresi quelli relativi alla concessione di alcuni benefici, quale gli arresti domiciliari, la condizionale ovvero anche la dichiarazione di estinzione del reato, ai sensi dell’art. 445 c.p.c., non hanno rilievo diretto nel giudizio di pericolosità formulato ai fini del diniego di rilascio del permesso di soggiorno, che presenta diversi presupposti e parametri di valutazione.
Sulla scorta delle predette argomentazioni devono essere disattese le censure di illegittimità articolate dal ricorrente e il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Appaiono sussistere giustificati motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Terza Sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 16 ottobre 2008.
Il Presidente       L’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Terza Sezione

 

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