Roma, 28 ottobre 2025 – Entro la fine del 2026 nella città di Trento dovrebbe entrare in funzione un nuovo Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR), una struttura destinata a trattenere i migranti irregolari in attesa di espulsione. Il progetto, promosso dal ministero dell’Interno in accordo con la Provincia autonoma di Trento, rappresenterà l’undicesimo CPR operativo sul territorio nazionale.
Un progetto da 2 milioni di euro
Secondo quanto stabilito, il nuovo centro avrà 25 posti e verrà costruito in una zona periferica, nei pressi dell’autostrada del Brennero. L’investimento complessivo sarà di circa 2 milioni di euro. L’iniziativa si inserisce nella più ampia strategia del governo guidato da Giorgia Meloni, che negli ultimi anni ha deciso di potenziare i CPR esistenti e ampliarne la rete in Italia.
Condizioni critiche e scarsa efficacia
I centri di permanenza per il rimpatrio sono da tempo al centro di forti polemiche. Diversi rapporti e indagini giornalistiche hanno documentato condizioni di detenzione degradanti, gravi violazioni dei diritti umani e una limitata efficacia rispetto all’obiettivo dichiarato: quello di favorire il rimpatrio dei migranti irregolari.
Secondo i dati disponibili, meno della metà delle persone trattenute in questi centri viene effettivamente rimpatriata.
Le reazioni a Trento
L’apertura del nuovo CPR ha scatenato forti critiche in consiglio provinciale e tra i sindacati, che denunciano un modello inefficace e disumano di gestione dei flussi migratori. L’amministrazione provinciale, guidata da Maurizio Fugatti (Lega), difende invece la decisione come una misura necessaria per garantire il rispetto delle leggi sull’immigrazione e collaborare con lo Stato nella gestione dei rimpatri.
Un dibattito ancora aperto
L’annuncio del CPR di Trento riaccende il dibattito su sicurezza, diritti e politiche migratorie in Italia. Mentre il governo punta su una linea di detenzione e controllo, associazioni, sindacati e opposizioni chiedono soluzioni alternative fondate su accoglienza, inclusione e regolarizzazione.
Il nuovo centro, con ogni probabilità, diventerà nei prossimi mesi uno dei simboli più controversi del rapporto tra autonomie locali e politiche nazionali sull’immigrazione.


