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Ius Soli Temperato e Ius Culturae: ecco perché quel disegno di legge è da recuperare

Roma, 14 gennaio 2019 – Inutile negare che venire a conoscenza o essere direttamente coinvolti in molte dinamiche o atti antisociali, che hanno come protagonisti proprio gli immigrati, crea un certo e comprensibile disagio sociale come paura, rabbia, disperazione, anche fra coloro che non hanno nessun tipo di tendenze razziste.
Non sentirsi al sicuro in quella che è la propria casa o vedere, in un certo senso, non apprezzato o ferito il gesto fraterno di ospitalità, può creare molta frustrazione.
Tuttavia questi episodi sono stati spesso – tutt’ora lo sono – diffusi attraverso notizie più accentuate del dovuto, quasi esasperate (sovente anche inventate), rispetto ad altre situazioni analoghe che riguardano i cittadini Italiani – e per le quali, come nel caso degli immigrati, basterebbe l’applicazione delle leggi esistenti o una sensata promulgazione di nuove, per cercare di porre fine o regolare tali accadimenti che, invece, come abbiamo visto, sono stati usati come argomento principale di una campagna politica che porta a colpire coi gesti più inumani i capri espiatori scelti.
Migliaia di bufale sono state create, distribuite, condivise con un piano diabolico e ben preciso: distrarre i cittadini da altri problemi, sostenere e fomentare tendenze razziali per pilotare psicologicamente gli ingenui e portarli a provare l’impulso di esprimere la propria indignazione attraverso parole e gesti colmi di odio allo scopo di guadagnare con notizie farlocche e bugie il consenso politico.
Tutto ciò è accaduto sotto gli occhi di tutti e ai danni degli immigrati che non sempre sono in grado di far sentire la propria voce per far conoscere la verità.
Usare il tema dell’immigrazione per guadagnare terreno politico è stato un atto incivile e vigliacco, usato come mezzo più comodo per illudere la popolazione, nell’ingenua e presunta ipotesi che l’eliminazione del problema fosse la cura a tutti i mali dell’Italia: neghiamogli i diritti, sfruttiamoli, abbandoniamoli, denigriamoli, incolpiamoli, lasciamoli sprofondare nel blu turchese del mediterraneo, rendiamogli la vita un inferno. Mandiamoli a casa in questo modo.
Questo è stato l’artificio e lo è tutt’ora per distruggere o allontanare coloro che sono semplicemente alla ricerca di sopravvivenza. Ma gli immigrati non andranno a casa, perché per quanto possano essere sottoposti alla peggiore delle situazioni, quella che si sono lasciati alle spalle – nella maggioranza dei casi – era ed è certamente più drammatica. Rimarranno; e più verrà loro negata la possibilità di integrarsi, meno contribuiranno positivamente alla crescita sociale ed economica del paese che li ospita. E dal momento che gli immigrati, come in molti luoghi di Europa e del mondo, ci sono, questo metodo non rappresenta un bene per nessuno.
Il principale scopo del disegno di legge su lo IUS SOLI approvato dalla Camera alla fine del 2015, che introduceva nuovi e necessari criteri per l’ottenimento della cittadinanza Italiana, e che l’anno scorso è irrimediabilmente naufragato al Senato grazie alla vigliaccheria spietata di molti “onorevoli” – che di onore e responsabilità non hanno un bel niente – era quello di migliorare le condizioni sociali di molti bambini nati o cresciuti in Italia (che vanno a scuola in Italia, che si sentono e sono italiani, che hanno compagni italiani, che studiano e apprendono i costumi, la lingua e la storia d’Italia), era un buon disegno di legge per investire sul futuro del Paese delle nuove energie, dei nuovi futuri cittadini, favorendo la loro totale e naturale integrazione.
Questa non era una legge che regalava la cittadinanza a tutti gli arrivati sulla costa della Sicilia o ai figli delle povere donne nigeriane che partorivano sulla spiaggia, come molti pensano. Anzi, era una legge basata sulla giustizia e sul merito: cioè sullo IUS SOLI TEMPERATO e sullo IUS CULTURAE. Ma forse è stata proprio questa ultima parte a dare fastidio a coloro che in Senato hanno sentito fortemente il richiamo di un rozzo, anacronistico e tribale egoismo, che vive in loro, e che ha come unico obbiettivo quello di difendere il territorio dalla contaminazione di altri geni, avvertiti come estranei e nemici, ignorando che ormai da molti anni lo scambio genetico è promosso e sostenuto dal gran numero di matrimoni misti, sempre più in aumento. Perché la verità è che l’amore se ne frega delle nostre ideologie e orientamenti religiosi o politici.
L’ottenimento della cittadinanza attraverso lo IUS CULTURAE passava dal sistema scolastico italiano, imponendo almeno un intero ciclo di studi, che doveva essere, oltretutto, superato con successo, e che alla fine prevedeva un test di conoscenza della lingua italiana e non solo. Ovviamente questo sarebbe stato un essenziale motivo per cui molti immigrati e i loro figli si sarebbero impegnati nella conoscenza della realtà storico-sociale-culturale che li circonda e, di conseguenza, questa prospettiva avrebbe dato loro non solo l’opportunità d’imparare e di apprezzare il modo di vita della nuova patria, ma anche la possibilità di identificarsi con essa e di sentirsi parte integrante della Nazione italiana. Ma forse, per gli ottusi oppositori, il punto dolente è stato proprio questo: La possibilità che un immigrato potesse fare della cultura un pilastro su cui fondare il proprio riscatto.
Da un altro ambito l’ottenimento della cittadinanza attraverso lo IUS SOLI TEMPERATO avrebbe regolato la situazione di molti bambini e ragazzi già nati e cresciuti in Italia, esclusi da anni dai benefici della cittadinanza e dalla possibilità di una giusta integrazione che certamente alla fine avrebbe fatto l’interesse di tutti e il bene della nazione.
Questa forma di legge, non si riferiva ai bambini o ai ragazzi soggiornanti in Italia per motivi di studio, formazione professionale, motivi umanitari o protezione temporanea. Ma solo a quelli i cui genitori godono di un permesso di soggiorno di lunga durata, lavorano, pagano le tasse, hanno un reddito superiore all’importo annuo dell’assegno sociale, dispongono di un alloggio con i requisiti di idoneità previsti dalla legge, hanno una adeguata conoscenza della lingua italiana e sono liberi da precedenti penali. Cittadino Italiano, dunque, diventava chi rientrava in certi parametri o meriti; non chiunque come invece hanno fatto credere a molti.
Dal 92 l’unica legge esistente nel territorio e adesso ormai rimasta, è lo IUS SANGUINIS (dal latino diritto di sangue), che prevede che un bambino sia italiano solo se almeno uno dei genitori è italiano, e che i bambini di cittadini stranieri lo diventino solo al compimento del 18-esimo anno di età, ma solo se, fino a quel momento, hanno risieduto in Italia legalmente e ininterrottamente. Una legge assurda e carente per quello che sono i tempi di oggi, e che condanna a rimanere apolidi o non Italiani fino al 18-esimo anno di età bambini nati in Italia o venuti qui giovanissimi; che hanno spesso solo l’italiano come lingua madre e magari parlano anche il dialetto della loro città, i cui genitori pagano le tasse e non hanno precedenti penali, mentre invece, concede la cittadinanza italiana senza problemi a discendenti di italiani emigrati da secoli ai quattro angoli del mondo, nonostante non abbiano mai messo piede nel territorio italiano, né paghino le tasse, né conoscano la lingua, né la storia, né le consuetudini, etc.. Assurdo!
Il tutto nella vana, meschina e anacronistica ossessione di mantenere pura la “stirpe”, ormai già alterata dal lontano momento dell’emigrazione dalla propria terra e dal lungo tempo di totale assenza da questa.

Andry Sencion

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